Pugni chiusi e saluti romani: e se invece di gridare allo scandalo provassimo a farci una bella risata?

6 Dic 2012 0:04 - di Girolamo Fragalà

Per una volta ci tocca difendere il pugno chiuso. Non perché ci piace, per carità. Ma perché è diventata stucchevole qualsiasi polemica sui saluti più o meno politici, sulle nostalgie più o meno celate, sui riferimenti più o meno chiari a personaggi storici, regimi e simboli, utili solo a creare polveroni sul nulla. Polveroni che finiscono con il “dagli al comunista” o con il “dagli al fascista” e magari si tratta di ragazzini, studenti ginnasiali o tifosi della curva che vogliono indirizzare qualche sfottò a quelli avversari. I nuovi tre “imputati” sono Alessandra Moretti, Roberto Speranza e Tommaso Giuntella – lo staff di Bersani – che per festeggiare la vittoria del loro leader alle primarie si sono fatti fotografare alla vecchia maniera, col pugno chiuso. Apriti cielo, quel flash è finito dappertutto, sui giornali e sul web. È chiaro che – a differenza di quanto avvenne con i festeggiamenti per Alemanno per due o tre saluti (forse) romani – stavolta i toni sono stati più leggeri, l’accusa è di aver fatto un “gesto di circostanza” o una “gaffe”. Però se n’è parlato come un peccato. Tant’è che gli interessati sono stati costretti a smentire, “rinnegando” la fede marxista e quindi rischiando di passare sotto le Forche caudine dei duri e puri del partito. «Non c’era niente di comunista in quel mio pugno chiuso…», ha detto la Moretti. E Speranza ha tentennato: «Ho stretto il pugno per genuina e spontanea esultanza. Tutto qui. Non dovete dargli una connotazione politica. Sa cosa ha scritto su twitter Tommaso Giuntella? Che lui esulta in quel modo, e cioè con il pugno chiuso, ogni volta che segna Totti allo stadio e ogni volta che segna lui, personalmente, in parrocchia, sul campetto dell’oratorio…». Chissà perché, poi, allo stadio si può salutare così e al partito no. E chissà perché quando Di Canio fece gol e saluto romano all’Olimpico fu oggetto di scandalo, «è fascista», «è un apologeta» mentre semmai era un gesto da gladiatore, alla “Ave Caesar”. Persino Berlusconi apparve in una foto dove sembrava facesse un saluto romano, capitò anche alla Polverini: in ambedue i casi era solo una mano aperta immortalata dal click. Ma non mancarono le polemiche. Nel Pd si sono giustificati in modo un po’ ridicolo, pubblicando una serie di immagini di personalità famose che, come i tre collaboratori di Bersani, strinsero il pugno (Alcide De Gasperi, Angela Merkel, Jesse Owens, Barack Obama, il cardinale Tarcisio Bertone, Nelson Mandela, Tommie Smith, John Carlos e John Kerry). A seguire, una grossa didascalia: «A volte, checché se ne dica, un pugno alzato significa semplicemente un saluto, un incitamento o una vittoria». Ci perdonino, ma paragonare la Moretti a Obama o a Nelson Mandela ci sembra un tantino esagerato. Sarebbe stato più semplice e convincente dire che ognuno, per giocare o per festeggiare, saluta come gli pare. In fin dei conti i saluti, di per sé, non hanno mai fatto male a nessuno, non sono né molotov né sbarre di ferro. Tutti i saluti, però. Altrimenti si ricomincia con le solite stucchevoli polemiche. Che arrivano dagli stessi personaggi che oggi sono costretti a giustificarsi per il pugno chiuso. Meglio farci una risata sopra.

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