La linea Lione-Torino in chiave antitedesca

12 Dic 2012 0:01 - di Marco Valle

Il recente vertice italo-francese ha fortunatamente confermato l’impegno dei due Paesi per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Lione-Torino. Un risultato importante per più motivi e non tutti scontati. Accanto alle note emergenze di modernizzazione infrastrutturale del sistema Italia e al superamento di logiche neoluddiste e visioni localistiche — argomenti più volte sottolineati da Destra.it — attorno ai binari della Tav si giocano partite ben più complesse e difficili.
Andiamo per ordine. Il vero problema oggi non sono le più o meno legittime perplessità piemontesi o le contestazioni dei locali rottami del massimalismo, ma Bruxelles. Da tempo nelle aule e nei corridoi del Parlamento europeo il blocco “nordico” a guida tedesca preme per limitare le spese di bilancio e ridimensionare gli investimenti infrastrutturali a Sud. Per Berlino e soci è inutile se non dannoso “regalare” altri soldi alle “cicale” meridionali, incostanti e fiscalmente irresponsabili, mentre è decisamente più vantaggioso recuperare i capitali promessi (ma non erogati) e impiegare gli stanziamenti per rafforzare la già efficiente rete intermodale dell’eurozona settentrionale. Una conferma dell’attuale lacerante crisi dell’Unione Europea e, al tempo stesso, un pezzo del disegno strategico neoanseatico in atto che, con l’assenso degli anglo-americani, prevede una Germania centro di una grande “gilda” geoeconomica, capace di estendersi dai suoi terminali occidentali — Anversa, Rotterdam e Amburgo — lungo il Baltico e verso l’Europa orientale. La Francia — Paese cerniera, unico con la Spagna che sia insieme atlantico e mediterraneo — è stretta oggi nella tenaglia Sud-Nord, tra i ricordi agrodolci del tandem franco-tedesco e i sogni di una nuova (moderata) grandeur.
Lo scontro all’interno dei poteri forti transalpini è pesante e influenza il dibattito politico e la politica estera dell’Eliseo. Non a caso, proprio in questi giorni, ha preso forma un inedito schieramento trasversale — che si estende dagli ecologisti a pezzi importanti del Partito Socialista e dell’Ump sino al Front National — che preme per una riconversione dell’Alta Velocità sulla direttrice Rodano-Saone-Reno. Ancora una volta verso il Nord. Da qui la necessità di scelte. Con inattesa lungimiranza Hollande, memore della secca sconfitta di Sarkozy — per troppo tempo alfiere di un’alleanza sbilanciata e infine rovinosa con la cancelliera Merkel — e indispettito dalla fresca perdita della triplice A, ha preferito allontanarsi dall’abbraccio mortale con il vicino germanico, sfidare gli oppositori interni e le pressioni straniere per spingersi verso il Sud. Un progetto ambizioso e di non facile realizzazione — l’attuale presidente non è De Gaulle e nemmeno Mitterrand — ma interessante e in parte innovativo.
In questa logica si deve leggere l’appoggio di Parigi al debole governo italiano per la riconferma dei finanziamenti Ue a un’opera simbolo come il percorso alpino. Non si tratta, ovviamente, di un atto di generosità — come ricordava il buon Hegel, gli Stati sono “mostri freddi”— ma di un calcolo preciso. Il rilancio dell’ipotesi corridoio 5, la lunga strada ferrata che un domani dovrebbe — passando per la Francia meridionale e la valle Padana — collegare la penisola iberica con l’Ungheria e l’Ucraina è un’alternativa forte agli attuali percorsi transeuropei settentrionali o al previsto asse Baltico-Adriatico sponsorizzati da Berlino e Vienna. Non è quindi casuale che Hollande definisca la Lione-Torino «parte di un’opera fondamentale per i nostri Paesi, per il rilancio delle nostre economie, ma anche di tutta l’Unione. C’è in gioco l’idea dell’Europa». Chiaramente non di quella a guida tedesca. È un gesto importante che rompe equilibri decennali e riapre l’interesse francese verso il Mediterraneo e, in prospettiva, per la Balcania e l’Europa orientale. Al tempo stesso è un piano politico podromico a una penetrazione economica potente ad Est che coinvolge fortemente l’Italia e obbligherà i futuri governi nazionali, pena la subalternità o l’irrilevanza, a riflettere sugli effetti immediati, le conseguenze a medio termine e i risultati finali. Ma soprattutto la decisione del leader socialista transalpino è un’operazione di realismo politico che ci ricorda una volta di più come la difesa degli interessi nazionali non appartenga a schemi partitici (sempre provvisori) ma sia una costante permanente. Almeno per le Nazioni serie.

 

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