Franco Cardini: «Alla vigilia dell’anno Mille erano meno preoccupati di noi ora»

16 Dic 2012 0:01 - di Antonio Rapisarda

«Del 21 dicembre 2012? Non me ne importa nulla. Anzi, ho da parte una bottiglia di champagne. Sarà mia cura tagliarle il collo, perché sono scaramantico, una volta trascorso». Franco Cardini, storico e scrittore, guarda con divertito distacco il panico da fine del mondo: «Non mi interessa quest’evento, se non per rendermi conto fino a che punto alcuni furbi riescano a trarre motivo di manipolazione dalla creduloneria della gente. Sotto questo aspetto mi interessa. Chi fa le feste popolari, chi ci specula ha capito bene come si sfruttano questi eventi. Insomma, pensare che – in senso apocalittico – potrebbero uscire discorsi seri da ciò è impossibile. In questo caso il livello è troppo basso».

Con quella del 21 dicembre 2012 a quante “fine del mondo” siamo arrivati?

Non so nemmeno se è possibile contarle. La faccenda della fine del mondo, nella cultura cristiana, ebraica e musulmana, oppure della fine dei cicli nelle altre religioni, non riguarda tanto la “fine”: perché l’universo è considerato infinito, per cui è giusto parlare di rinnovamento. In generale, un conto è il calcolo delle ere secondo sistemi che sono matematici, filosofici e mistici come il caso del calendario Maya: e qui i calcoli possono essere fatti con l’aiuto delle stelle. Un conto è la profezia che non è collegata a un assetto cosmico ma a un fatto di insegnamento che pretende di venire da una rivelazione avuta dall’alto.

Di che cosa si tratta?

Sono simili alle profezie che circolavano nel mondo medievale. Compaiono soprattutto nei momenti di crisi, di paura, di tensione…
C’è chi, a proposito della profezia dei Maya, scomoda la paura dell’anno Mille…
La paura dell’anno Mille è una balla. Messa in giro nell’800 da Michelet e poi ripetuta da Carducci. Basti pensare che nel 999 non c’era nessuno accordo, perché l’anno stesso veniva computato in modo diverso: in Francia il primo giorno dell’anno era quello di Pasqua, in Italia era il giorno di Natale. Nessuno poteva calcolare allora quando sarebbe finito il millennio perché, appunto, c’erano sistemi calendariali diversi che convivevano e che erano in contrasto. Basta questo per confutare la credenza.

In mezzo mondo fanno il countdown però.

Persino per noi – che abbiamo gli orologi stellari – sarà difficile metterci d’accordo: perché la terra è tonda. Perché la prima notte di ogni anno dura ventiquattro ore, perché si sposta ventiquattro volte prima che la terra abbia fatto un giro completo. Insomma, qual è l’ultimo istante di un certo anno non lo potremmo dire a livello mondiale.

Tutto falso quindi.

Un esempio. Si diceva che la congiunzione di alcuni pianeti nella costellazione dell’acquario nel 1524 avrebbe causato la fine del mondo, una sorta di nuovo diluvio universale. In effetti quell’anno fu caratterizzato da una particolare umidità e da forti piogge, il che può anche far pensare che esistano dei rapporti tra movimenti cosmici e avvenimenti meteorologici o tellurici. Che ogni tanto ci siano delle coincidenze tra quello che succede e ciò è stato annunziato è abbastanza normale.

C’è sempre una crisi nel mezzo?

Capita quasi sempre, nella storia, di vivere dei momenti di crisi. Perché siamo sempre in transizione. A volte, certo, la crisi è più pronunciata. Mentre nell’anno 2000, ad esempio, il mondo tutto sommato sembrava, o fingeva di essere, abbastanza calmo, guarda caso, poi, nel corso del 2001, è successo il disastro delle Twin Towers. Lì ci si può chiedere: è stata una coincidenza? Oppure qualcuno ha scelto proprio il primo anno del secondo millennio con una volontà di tipo simbolico o mistico per fare ancora più paura? È difficile a dirsi.

Eppure anche la tradizione cristiana contempla l’Apocalisse.

La fine del mondo è tradizionalmente l’avvio di un altro mondo, come dice San Giovanni nell’Apocalisse. Il messaggio apocalittico, di per sé, non è pessimistico. È un messaggio che indica un momento di prova, un momento di paura, dopo il quale però ci sono altre cose. Nessuna religione tradizionale ha mai posto il nulla eterno come punto di arrivo della vita. Avere ipotizzato il nulla eterno è una delle caratteristiche, appunto, della modernità occidentale.

Come sta arrivando l’Occidente a questa data?

Intanto non so che cos’è l’Occidente. Io personalmente sono europeo. In quanto tale so benissimo che negli ultimi cinque secoli l’Europa si è allargata, ha dominato il mondo. Bene, questo ciclo culturale dell’egemonia occidentale sta finendo. Gli anni ’30 di questo secolo vedranno il prevalere dell’Asia sull’Europa. Vedranno una Cina che sorpasserà gli Stati Uniti, un’India dove lo sviluppo tecnologico supererà i confini occidentali di oggi. Certo, in parte Cina e India potranno farlo perché sono eredi proprio della cultura occidentale. Quindi sarà un ulteriore trionfo dell’Occidente? Da un certo punto di vista – quello tecnologico – sì. Nelle rotture c’è sempre continuità. E, d’altra parte, nella continuità ci sono perennemente degli elementi di rottura.

Passati indenni da questo 21 dicembre, che cosa dovremmo fare?

La modernità si è fondata su pochi principi: la vittoria dell’individualismo sullo spirito comunitario e il primato dell’economia e della tecnologia. È chiaro che questo modello è entrato in crisi. Per cui per ripartire bisogna cambiare modelli. Se esistesse ancora, soprattutto in Italia, un pensiero di destra decoroso che fosse consapevole delle sue radici al di là delle contingenze; un pensiero che si rifacesse alle sue basi concettuali come De Maistre, Donoso Cortes così come un pensiero avanzato in termini sociali, dovrebbe ripartire proprio da qui, per dire basta a questa ipertrofia di individualismo ed economicismo. Se si riuscisse a tradurlo in termini politici, in termini pedagogici, sarebbe una grossa rivoluzione.

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