Hollande: già finita la luna di miele coi francesi (e con Bersani & Vendola)

16 Nov 2012 20:44 - di Francesco Signoretta

Dai sorrisetti ironici (e un po’ “golpisti”) di Sarkozy e della Merkel alle lacrime della Germania e di Parigi. C’è il tramonto di Angela e la caduta di François. L’Economist ha sparato a zero sulla Francia di Hollande e ha titolato – in un numero speciale – “Bomba a orologeria nel cuore d’Europa”. Il settimanale ha messo in copertina una baguette farcita con un candelotto tricolore pronto ad esplodere. Ma a rischiare il botto è tutto il governo francese. È l’ultima di una serie di critiche che sta travolgendo la “nuova stagione” della politica parigina. E su Hollande è calato magicamente il silenzio, in particolar modo dalle nostre parti. Non ne parlano più i “cugini”, quelli che – all’indomani della vittoria socialista – urlarono al miracolo. Tutti zitti. Perché, da quando la sinistra è all’Eliseo, non c’è una cifra ufficiale positiva: il debito pubblico è cresciuto a dismisura, non c’è riparo economico, l’unica soluzione trovata è quella di stangare i francesi con manovre e manovrine, la piazza si è già scaldata, sono aumentati i prezzi di qualsiasi prodotto, dalla birra alle sigarette. Hollande come Monti, cura pesante e risultati zero. Tanto per rinfrescare la memoria, ricordiamo l’esultanza di Pd, Sel e Idv per la vittoria di François, che annunciarono quasi come una loro vittoria. «È una bella notizia per l’Europa e può essere un passo determinante per invertire il ciclo disastroso dei governi delle destre, anche per sconfiggere questi venti populisti che si fanno sentire nel Continente», aveva detto Bersani. Anzi, con questo esito, aggiungeva, «si può lavorare con più forza e convinzione a un cambio delle politiche europee». Non fu da meno Vendola: «Festeggiamo la vittoria di Hollande come l’inizio di un rivolgimento che può cambiare radicalmente il volto del nostro Continente. È arrivato il momento di mettere la parola fine a un’Europa della destra segnata dall’egoismo, dalla precarietà, dalla paura». Brindò anche Di Pietro: «La vittoria di Hollande rappresenta un punto di svolta. Questo risultato può rafforzare la dimensione politica e sociale dell’Unione europea che non deve più rispondere alle logiche finanziarie degli speculatori e alle banche, ma deve essere più attenta alle istanze dei cittadini che la abitano». Tutto è accaduto tranne quello che dicevano gli esponenti del centrosinistra nostrano. La verità è che in questa crisi del debito sta venendo fuori un’assoluta mancanza di leadership politica, con il “motore” franco-tedesco in prima linea. È evidente che questo motore si è inceppato e ciò è successo anche perché la Francia si è dimostrata incapace di giocare il ruolo di perno della stabilità. Le banche francesi sono molto esposte nei confronti della Grecia e del Portogallo e la crisi del debito (ormai al 91 per cento del Pil) fa il resto. Gli analisti, infatti, avevano indicato proprio il superamento di questa soglia come il segnale che la fiducia di consumatori, imprese e creditori cominciava a vacillare. Siamo quindi alla resa dei conti, tanto che, nonostante la strenua difesa da parte di Parigi, anche la “tripla A” è ormai stata messa in discussione dagli avvertimenti di Standard & Poor’s per quanto riguarda gli obiettivi di lungo periodo. Non c’è voluto molto per far venire allo scoperto il bluff francese. Parigi è in crisi e i sintomi ci sono tutti: il Paese non cresce, la spesa delle famiglie scende, le esportazioni sono al palo e il debito pubblico è aumentato di 43,2 miliardi di euro in un solo trimestre, con il rapporto deficit-Pil che ha raggiunto il 4,5 per cento. E il miracolo promesso da Hollande in campagna elettorale? Nessuno ne parla più. Bersani, Vendola e Di Pietro fingono di non accorgersi di nulla. Perdere un’illusione rende più saggi che trovare una verità, sosteneva lo scrittore satirico ottocentesco Ludwig Börne. Gli esponenti del centrosinistra ne imparino la lezione.

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