Il governo tecnico agli sgoccioli: ora la gara è a chi la spara più grossa

8 Ott 2012 20:28 - di

Tra sogni nel cassetto custoditi con cura e slogan confezionati per l’occasione, le ultime puntate della soap opera del governo tecnico vanno avanti stancamente. Gli ascolti sono in calo (un po’ come accade nei dati Auditel quando un programma ha perso il suo fascino) e le frasi sono ripetitive. Anzi, sembra partita la gara a chi la spara più grossa, a chi riesce a conquistare i titoloni dei giornali e quindi a ritagliarsi un po’ di spazio per il futuro. C’è Monti che continua a parlare come se non fosse costretto a camminare tra le rovine (economiche) – «Siamo sulla buona strada», dice ma non spiega qual è la strada – e c’è il ministro Passera che favoleggia su un grande patto «tra governo, imprese e sindacato per riformare la contrattazione». C’è la Fornero che si agita per tornare in scena, magari riservandosi un altro pianto, utile per finire in prima pagina sui quotidiani. Ci sono i banchieri e le lobby che – se non dovesse andare in porto il bis di Monti – preparano il terreno per una vittoria del centrosinistra. E c’è tutto un mondo che invece cerca un colpo di reni per la produttività, unica speranza per uscire dal tunnel. Si potrà raggiungere questo obiettivo? Difficile, perché i tempi non ci sono, ci avviciniamo alla sfida del voto, tutti i provvedimenti hanno il sapore di campagna elettorale e i cittadini sono sfiancati, vere vittime dei provvedimenti lacrime e sangue ideati e imposti da Palazzo Chigi. L’ultimo spot porta di nuovo la firma di Monti: «Per superare la crisi – ha affermato – c’è ancora da lavorare», ma il percorso è quello imboccato. Peccato che finora l’elemento caratterizzante di tutta questa telenovela sia soprattutto una recessione che non lascia spazio a ottimismi, visto che lo stesso esecutivo ha dovuto rivedere al ribasso le sue previsioni portando la diminuzione del Pil dell’anno in corso dall’1,2 al 2,4 per cento. Ed è difficile uscirne perché gli investimenti non si vedono e perché, secondo Jp Morgan, l’Italia è l’unico Paese tra quelli in difficoltà economiche dove il costo del lavoro per unità di prodotto continua ad aumentare. Ma Monti continua a vedere la luce.

Tra tavoli e incontri
I leader di Ugl, Cgil, Cisl e Uil incontreranno oggi i vertici di Rete imprese Italia, e domani sera alla 20, nella foresteria di Confindustria, a Via Veneto a Roma, faranno il punto con Giorgio Squinzi e i suoi. L’imperativo è dare una risposta  alle sollecitazioni del presidente del Consiglio. La situazione è delicata, le retribuzioni stanno ferme. Segno evidente che la fame del fisco non accenna a diminuire. È evidente, pertanto, che il governo non può pensare di tirarsi fuori da questa trattativa: deve mettere sul piatto qualcosa. Il materiale per cominciare a lavorare è tanto: c’è il salario di produttività da detassare, la contrattazione aziendale da potenziare, il mercato del lavoro da rivedere. La riforma Fornero, infatti, invece di renderlo più flessibile ha aumentato le ingessature e quelle in entrata costituiscono una vera e propria ghigliottina in grado di decapitare qualsiasi aspettativa di crescita dell’occupazione.

Ogni parte rinunci a qualcosa
Squinzi rinunci alla sua idea di aumentare le ore lavorate (se non ripartono i consumi ha poco senso lavorare di più; è importante invece come si produce, perché è questa la strada per far crescere la competitività) e l’esecutivo dei tecnici metta finalmente mano all’infinita giungla delle deduzioni e delle detrazioni (720 in tutto) che mettono in gioco qualcosa come 160 miliardi l’anno e non garantiscono le necessarie ricadute in termini di capacità produttiva. La “mission impossible” alla base del confronto tra sindacati e imprenditori è quella di recuperare almeno una decina dei venti punti di produttività che l’Italia ha perso negli ultimi venti anni. E per riuscirci hanno bisogno di una semplificazione del fisco.

Una montagna di tasse
Dopo la messe di balzelli varati dal governo Monti gli italiani si trovano a fare i conti con circa 270 tasse e 1.900 leggi fiscali. Una montagna che produce un contenzioso fiscale enorme: ormai si viaggia sui 360mila nuovi ricorsi l’anno con una pendenza complessiva che, a fine 2010, aveva raggiunto il milione di pratiche molte delle quali destinate a chiudersi lasciando il fisco a bocca asciutta. Semplificando la macchina, dunque, avrebbero tutti da guadagnare. Il ruolo del governo  in questa partita non è, come ha detto il premier Monti, «di porre il problema e di farlo cogliere alle parti sociali e all’opinione pubblica», ma è di sostanza. Sono le risorse che vengono messe sul tavolo che possono facilitare il dialogo e possono portare all’accordo. Del resto il ministro Passera, non più tardi di un mese addietro, ha affermato che «ci sono margini per mettere più soldi in tasca alla gente» e che questo può avvenire aumentando la produttività. Si può davvero fare? Se sì il governo la smetta di stare sull’Aventino e scenda in campo, cominciando a fare chiarezza sui termini della questione. Domani ci si siede al tavolo con Monti che dice che la concertazione è finita perché ha fatto più danni che cose utili e il segretario generale della Cisl, Baffaele Bonanni, che ne saluta il ritorno.

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