Monsignor Viganò: «Il cinema mi ha insegnato a leggere la Bibbia»

6 Set 2012 20:27 - di

Sedici minuti di applausi in sala per il film di Marco Bellocchio. Più che di sonno eterno, sostiene il regista, il film parla di “risvegli”. Nella scheda dell’opera, a cura della Commissione nazionale valutazione film della Cei, il giudizio pastorale recita: «Il film è da valutare come complesso, problematico e opportuno per dibattiti». Ne parliamo con monsignor Dario Edoardo Viganò, presidente della fondazione Ente dello Spettacolo, autore di autorevoli saggi sul cinema ed esperto di comunicazione. Il suo ultimo libro (“Cari Maestri. Da Susanne Bier a Gianni Amelio i registi si interrogano sull’importanza dell’educazione”) è stato presentato nelle più prestigiose università italiane.

Ha visto il film di Bellocchio “Bella addormentata”? Cosa ne pensa?

Siamo certamente di fronte a un lavoro autoriale importante che richiede una serie di competenze nel valutarlo. La storia, per la verità quattro storie incrociate, si snoda tenendo sullo sfondo la situazione di Eluana Englaro. Il tema è certamente molto delicato, esige precisione nel distinguere soprattutto l’atteggiamento di chi, rifiutando l’accanimento terapeutico, permette alla morte di sopraggiungere, dall’atteggiamento di chi invece fa della morte una scelta.
Comunque sia, mi pare che la domanda che emerge dal film sia: “Se sono libero di scegliere, allora come devo vivere?”

Quale importanza assume il linguaggio cinematografico nell’educazione delle nuove generazioni?

Il cinema è anzitutto un grande tessitore di storie, di racconti, e ciò che avviene nel racconto è la definizione di sé e della modalità di relazione con l’altro. In questo senso educare al linguaggio cinematografico è importante soprattutto per le grandi istituzioni educative come la famiglia, la scuola e la parrocchia. E’ sempre più necessario comprendere come un film non veicoli semplicemente delle informazioni, ma siano vere e proprie architetture di senso con cui interagire.

Cosa rappresenta per lei il cinema?

Il cinema ha accompagnato gli ultimi vent’anni del mio ministero sacerdotale e, personalmente, mi ha insegnato anche un metodo di lettura della Bibbia. Infatti molto spesso, per capire cosa la Parola di Dio dice a me oggi, cerco di dare corpo alle immagini che il Testo mi suggerisce. E le sorprese non si fanno attendere. Da ultimo, ancora una volta, mi piace esprimere un desiderio, e cioè che anche il cinema, al pari di altri strumenti, possa avere un patrono. Proporrei gli angeli che sono proprio luce e movimento come il cinema.

Alla Mostra lei ha organizzato il ricordo ufficiale del cardinale Carlo Maria Martini. Cosa aveva in comune con il cinema?

Il cardinale Martini decise, molti anni fa, di far specializzare in cinema un sacerdote della diocesi di Milano. Quel sacerdote ero io. In un certo senso, perciò, devo ad una sua idea, e ad una sua propensione, quello che per me oggi è diventato motivo di approfondimento, di studio e di dedizione. Il cardinale Martini, credo, fu tra i primi a capire il valore comunicativo e di trasmissione di valori che può assumere l’opera cinematografica. Fu a dir poco prezioso per Roberto Rossellini nella realizzazione del famoso sceneggiato “Atti degli apostoli”.

Era doveroso, dunque...

Era sentito, giusto e doveroso che il mondo del cinema lo ricordasse.
 
Quali altre iniziative la fondazione Ente dello Spettacolo ha organizzato in occasione della Mostra del Cinema?

Quest’anno sono state davvero tantissime. Una per tutte è il premio Robert Bresson che quest’anno è stato assegnato al regista Ken Loach. È un riconoscimento che da ormai dodici anni viene conferito, sentito il parere dei Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni sociali del Vaticano, al regista che abbia dato una testimonianza, significativa per sincerità e intensità, del difficile cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita. Lo scorso anno, per esempio, abbiamo avuto l’onore di premiare il grande maestro Alexander Sokurov.

È stato orgoglioso di aver ospitato il regista che qualche giorno dopo ha vinto il Leone d’Oro?

Certamente. Devo dire che, quando ho visto il suo “Faust”, non ho avuto alcun dubbio.

Ci parla delle sue prossime iniziative?

Tengo molto alla mostra “Famiglia all’italiana” che abbiamo inaugurato a maggio alla Camera dei Deputati in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca. Nasce come un omaggio alla Giornata Mondiale della Famiglia indetta dal Santo Padre. Con oltre sessanta foto di scena abbiamo descritto come alcuni dei film più rappresentativi del nostro Paese hanno raccontato l’istituzione familiare e le sue trasformazioni nei diversi snodi storici: dallo sguardo neorealista di Vittorio De Sica in “Ladri di biciclette” alla commedia anni Cinquanta come “La famiglia Passaguai” di Aldo Fabrizi o “Poveri ma belli” di Dino Risi.

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