Bersani non sa a quale sinistra affidarsi

6 Set 2012 20:08 - di

Non c’è solo il tema della legge elettorale ad agitare le acque della politica italiana (alla fine, se non si trova un accordo, il dibattito sarà fatto in Parlamento e ogni partito si assumerà le sue responsabilità) ma anche quello delle alleanze. Un terreno scivoloso soprattutto per il Pd, che si trincera su mezze ammissioni e mezze marce indietro per far digerire l’idea di un’alleanza che comprenderebbe sia Casini sia Vendola. Ieri Massimo D’Alema, intervistato dal “Corriere”, ha spiegato che a suo avviso le alleanze vanno dichiarate dopo il voto: «Prendiamo l’esempio della Gran Bretagna – afferma – Cameron ha chiesto il voto per il suo partito, poi non avendo l’autosufficienza ha fatto un’alleanza con i liberali di Clegg. In ogni caso il Pd ha già detto con chiarezza con chi si vuole alleare». Il governo che ipotizza il Pd dovrà nascere dall’alleanza con i moderati ma non escluderà Sel. A questo punto ciò che non funziona, al di là dello stravoglimento delle tradizionali geografie politiche, è l’atteggiamento nei confronti del governo Monti. Discontinuità o continuità? D’Alema la pensa come Casini: l’agenda Monti, dice, è irrinunciabile. Ma il responsabile del Pd Fassina critica il rigore dell’attuale esecutivo, utilizzando un linguaggio più congeniale agli elettori di Vendola. In pratica quella che il Pd sta preparando è una campagna elettorale dove si sovrapporranno più linguaggi, in una sorta di voluta confusione babelica. Ne parlava ieri anche il sito Il Retroscena, sottolineando come la strategia comunicativa che Casini, Bersani e Vendola vogliono adottare è già pianificata: si tratterebbe di valorizzare le differenze esistenti tra i potenziali alleati anziché negarle. «Questa strategia consentirebbe l’indiscutibile vantaggio di lasciare i tre leader liberi di parlare ai propri target elettorali  con le rispettive parole d’ordine, quelle di massima presa, quasi come giocassero in proprio con l’unica limitazione di una carta di intenti sufficientemente vaga per lasciare adeguato spazio di manovra a ciascuno».
Ma in questo quadro il compito più difficile da svolgere è affidato a Pierluigi Bersani: è lui che deve barcamenarsi, che deve fare il cerchiobottista, che deve un giorno dare la bacchettata a Monti e un giorno elogiare il governo tecnico. In pratica il rischio dell’ambiguità pesa per intero sul Pd, accelerando le fughe in avanti di Matteo Renzi che ieri non a caso si è incontrato con Monti, che si trovava a Fiesole per un intervento al  forum del Ppe. Anche Casini può permettersi il lusso di un montismo esibito e trasparente: grazie a questo premier, dice, l’Italia ha recuperato credibilità. Può persino corteggiare apertamente i ministri tecnici, cosa che il Pd è costretto a fare di nascosto. Non così l’Udc: infatti alla sua festa a Chianciano, che si apre oggi pomeriggio, oltre agli interventi di Fini e Casini, sono previsti quelli di numerosi ministri e sottosegretari “tecnici”: Andrea Riccardi, Lorenzo Ornaghi, Michel Martone, Claudio De Vincenti, Mario Catania, Filippo Patroni Griffi, Corrado Passera, Corrado Clini.
Bersani ha tentato di uscire dall’angolo richiamando i suoi all’ordine, ha chiesto di smorzare le polemiche interne e di parlare all’Italia, ma con quale linguaggio? Quello del montismo o quello dell’antimontismo? L’impasse è ormai chiara a tutti, visto che ieri il direttore di “Europa” Stefano Menichini concludeva il suo articolo di fondo con una previsione assai funesta per Bersani: «Arriverà il giorno in cui a Bersani verrà chiesto se per dodici mesi in Italia s’è fatta macelleria sociale, come dice Vendola (e quel giorno Vendola sarà nelle liste del Pd) o se si è salvato il paese, come tra gli altri pensa il capo dello stato».
Se Bersani parla all’Italia, Casini lancia invece messaggi in tutte le direzioni, continuando nella sua mission equilibrista: «Noi non corriamo con nessuno, lo diciamo da 20 anni…». E Vendola, libero dai lacci dell’ambiguità che ingabbiano Bersani, può permettersi di provocare l’Udc sui matrimoni gay: «Non è il tema della vita individuale di Nichi Vendola – ha spiegato – ma quello della modernità dell’Italia. Io penso che questo Paese, sia dal lato del suo apparato economico, sia dal lato dei diritti del mondo del lavoro, sia dal lato dei diritti di libertà, da lungo tempo deve fare i conti con un’idea di modernità».

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