Prandelli, tra nuovismo e nepotismo

2 Lug 2012 20:09 - di

«Se io posso cambiare, se voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare», urlava alla platea sovietica un invasato Sylvester Stallone al termine di Rocky IV, il più politico della serie. Ecco, la prima conferenza stampa post-Europeo di Cesare Prandelli ricorda un po’ i sogni di palingenesi dell’ammaccato pugile di Filadelfia, se non per il fatto che Rocky le aveva appena suonate a Drago  mentre il ct azzurro è reduce da una batosta che finirà negli annali. «Secondo me anche voi ci state credendo – ha arringato i giornalisti Prandelli – spesso il calcio è un veicolo per cambiare. Siamo un Paese vecchio, con idee vecchie. Noi invece abbiamo avuto il coraggio di cambiare». Parole enfatiche, forse troppo, soprattutto alla luce del 4-0 incassato dagli spagnoli. Certo, si dirà: l’importante è esserci arrivati, nessuno l’avrebbe detto alla vigilia del torneo. Vero. Ma tutto dipende dai parametri di riferimento: alla luce delle sensazioni pre-Europeo abbiamo certamente fatto bene, ma era forse proprio quel pessimismo iniziale a non essere in linea con la nostra storia, perché gli azzurri quattro volte campioni del mondo dovrebbero avere sempre l’obbligo di arrivare almeno in finale. E non sarà certo buttandola in politica che potremo aggirare questo dato evidente. Anche perché il paragone tra carica innovativa (?) della nazionale e necessità di cambiamento nel Paese non regge. A meno che non si ritenga che, per esempio, il nepotismo sia uno di quei valori da cui ripartire. Nello staff azzurro, lo sappiamo, figura anche Niccolò Prandelli, preparatore atletico assolutamente autorevole nel suo campo ma incidentalmente figlio di quel Cesare che gli ha fatto procurare il contratto per Euro 2012. Ora, nel paese dei “figli di” possiamo anche fare spallucce di fronte a un’inezia del genere. Ma che almeno il papà generoso abbia la decenza di non indignarsi, come invece ha fatto Cesare: «Quando ho fatto le convocazioni – ha detto – i giornalisti non hanno messo in risalto quello, ma che avevo portato mio figlio Nicolò, che è un professionista, di cui avevo bisogno nello staff tecnico. Ci sono rimasto molto male perché la critica sportiva l’accetto sempre, ma quando si va ad attaccare la persona non l’accetto. Il ragazzo è venuto 35 giorni con noi, lo ha fatto con piacere e non farà vacanze perché domani farà il ritiro col Parma». Il ragazzo è un professionista? Be’ certo, ci mancava pure che il ct convocasse un parente idraulico. È venuto solo 35 giorni? Ovvio, tanto dura l’Europeo. Non ha fatto le vacanze? Questa deve avergliela suggerita Cicchitto. Insomma, peggio la toppa del buco. Come una Fornero qualsiasi. “Sono il Monti del calcio”, titolava non a caso la rivista Gq alla viglia dei campionati europei, presentando un’intervista esclusiva al ct. Ecco, questa sfumatura pedagogica e un po’ moralista che accomuna Prandelli ai prof bocconiani si è in effetti avvertita e non ci è piaciuta. In questo quadro rientra l’esotismo politicamente corretto che ha fatto finire in azzurro carneadi come Ogbonna, catapultato fra i big del calcio continentale dalla serie B in omaggio a una discutibile logica di quote etniche, o l’oriundo bollito Thiago Motta, pallido Schiaffino de noantri. E c’era veramente bisogno, prima della competizione, di avallare la mitomania gaia di Cecchi Paone firmando la prefazione al suo libro che nulla ha a che fare con i sacrosanti diritti civili e molto con la provocazione fine a se stessa? La “solita” Italia ha già portato a casa quattro Coppe del Mondo e un Europeo, forse, anziché quest’ansia prandellian-montiana di cambiare, di adeguarsi, di rieducare gli italiani, sarebbe il caso di ripassare i fondamentali. Che in qualche modo, almeno a livello di carattere, la stessa nazionale di Prandelli sembra avere ben presenti nonostante Prandelli stesso. Ci volevano la grinta di De Rossi, la fame di Buffon, persino le sgangherate gaffe vernacolari di Cassano per riportare sulla terra questo sport che è e resta di lotta, di confronto aspro, di furbizia, di genio sregolato. Altro che la diligenza educata da studenti secchioni che ci vorrebbero imporre. «La nostra panchina salutava sempre gli avversari, ci hanno fatto tutti i complimenti», ha detto ieri Prandelli. Qualcuno deve avergli sostituito il manuale del calcio con il galateo.

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