Stato-mafia, sono troppi i punti oscuri. Chi sa, parli

15 Giu 2012 20:30 - di

La lettura dell’articolo sulla presunta trattativa Stato-mafia pubblicato su “La Repubblica” del 15 giugno rende noti fatti inediti e sconcertanti. Premetto che a mio avviso l’inchiesta di Palermo mette in un frullatore calunniatori e persone perbene, combattenti leali antimafia e codardi e collusi di varia estrazione, vivi che mentono e morti che non possono più confessare le loro colpe. Ciò detto emerge che l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, avrebbe chiamato più volte il consigliere giuridico del presidente della Repubblica Napolitano, il magistrato Loris D’Ambrosio, per chiedere “protezione”, perché – scrive “La Repubblica” – il presidente Napolitano fosse informato, o addirittura intervenisse – ipotesi irreale conoscendo il presidente – sui magistrati. Mancino avrebbe voluto evitare il coinvolgimento di Scalfaro (ancora in vita alla data delle telefonate?), che come è ben noto fu vero protagonista della inquietante della vicenda del 41bis cancellati.
Può passare sotto silenzio un simile articolo? Come fu respinto l’incauto tentativo di Mancino di coinvolgere il Quirinale? Dal presidente della Repubblica, attento all’impegno antimafia, potrebbe venire un forte e pubblico impulso alla verità sul carcere duro cancellato per tanti mafiosi nel ’93-’94, quando al Quirinale c’era Scalfaro, dominus del Viminale, ed al governo c’erano prima Amato e poi Ciampi sempre con Mancino ministro dell’Interno. Alcuni protagonisti sono morti, ma tanti sono vivi. Dicano la verità. Ed ai magistrati di Palermo, che mischiano realtà e calunnia, ricordiamo che tutte queste vicende sono precedenti ai governi Berlusconi, che dagli anni ’90 ai giorni nostri, hanno rafforzato la legislazione antimafia in modo eccezionale, come ha riconosciuto il procuratore nazionale Grasso, a differenza di militanti comunisti travestiti da pubblici ministeri. Ciampi, Conso e Mancini hanno un’età che rafforza il dovere della verità sui loro atti e su quelli compiuti da Oscar Luigi Scalfaro.

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