Le lacrime (interessate) di Monti: poteri forti, non mi abbandonate

7 Giu 2012 20:34 - di

Si sente accerchiato, come un sovrano chiuso nel suo castello e circondato dalle truppe nemiche, che non consentono l’ingresso neppure a una borraccia d’acqua. Le critiche fanno male. A Monti fanno malissimo, perché non è abituato a riceverle. E allora sbotta: «Non ho più l’appoggio dei poteri forti». Un dramma. Poi però si capisce che il premier piange la perdita dei poteri forti per riconquistarne il cuore. Tant’è che, subito dopo, si becca l’applauso e l’affetto del Congresso delle Fondazioni bancarie, che non è un potere forte ma fortissimo. Lui però insiste, dice che «i momenti difficili non sono dietro le spalle», si batte il petto perché il governo «avrebbe potuto fare di più e meglio» ma la fretta è stata cattiva consigliera, suggerisce agli industriali di studiarsi meglio le riforme e così capire che non sono del tutto contrarie alla possibilità di competere e di fare impresa. Sette mesi dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi tutto è cambiato. Monti parla e si contraddice. Anche perché il 18 novembre del 2011 aveva testualmente detto: «Poteri forti sono espressioni di pura fantasia che considero offensive. Di poteri forti non ne conosco». Ora però si lamenta perché non lo aiutano. Ergo, prima c’erano ed erano pure i benvenuti, niente di offensivo.
Ma chi gli ha detto addio?
«In questo momento non incontriamo i favori di una grande quotidiano, considerato voce autorevole dei poteri forti e non incontriamo i favori di Confindustria». Prima, in sostanza non era così. Del resto tutti noi ricordiamo gli editoriali e le prestigiose firme con cui il Corriere della Sera ha spianato la strada ai tecnici e le prese di posizione di Emma Marcegaglia, allora presidente degli industriali, che non perdeva occasione per chiedere a Berlusconi di sgombrare il campo, addossandogli colpe di ogni genere sul fronte dello spread, dell’andamento dell’economia e delle difficoltà delle imprese. E se adesso questi sponsor di un tempo guardano altrove un motivo dovrà pure esserci: i tecnici a Palazzo Chigi sono stati una delusione e, quindi, sono stati scaricati. Ma è poi veramente così? Chi ha potuto seguire l’intervento del premier al Congresso delle Fondazioni bancarie ne è tutt’altro che convinto. Allo sfogo di Monti, infatti, si sono accompagnate le parole del presidente Giuseppe Guzzetti, che lo ha elogiato per la credibilità a livello internazionale, e gli applausi degli intervenuti. «Scopro dalle sue parole e dall’applauso – non ha mancato di sottolineare il premier – che un potere non forte ma fortissimo, come l’Acri apprezza la nostra azione». Il che, tradotto in una formula concreta, significa una sola cosa: le banche non hanno nessuna intenzione di cambiare “padrone”.
Il rapporto con le banche
Proprio le banche sono uno degli snodi principali attorno a cui si nuove la politica economica di questo governo. I nostri istituti di credito hanno ricevuto dalla Bce centinaia di miliardi di euro a tasso agevolato per ricapitalizzarsi e fare credito alle imprese. Invece hanno incassato i soldi e li hanno reinvestiti in titoli pubblici lucrandoci sulle cedole e dando una mano al governo che così ha potuto collocare senza problemi le quote di debito in scadenza. Una mano tira l’altra. Sulle banche, a livello europeo si sta svolgendo una partita che è ancora tutta da giocare. In prima linea ci sono gli istituti di credito spagnoli, con Bankia e altri che aspettano i finanziamenti di cui hanno bisogno e che ancora non hanno avuto segnale verde. Madrid, infatti, ha i giorni contati e non può aspettare l’entrata in vigore il piano salva-banche varato mercoledì dalla Commissione Ue. Se tutto andrà bene se ne parlerà da qui a un anno, mentre il ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos ha annunciato che loro prenderanno una decisione entro quindici giorni. A quel punto si deciderà se chiedere o meno l’aiuto del fondo salva-stati (Efsf), una mossa che il governo Rajoy intende evitare per non essere sottoposto alla gogna dei piani draconiani di risanamento imposti a Grecia, Portogallo e Irlanda.

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