Bersani: mi candido alle primarie. Apre ai moderati, chiude a Di Pietro

8 Giu 2012 20:22 - di

Prima di ogni cosa il messaggio rivolto all’interno: «Mi candido alle primarie». Poi quello, molto atteso, all’esterno: «Per noi la legislatura si chiude nel 2013. Sappiamo che non è tutto nelle nostre mani e vediamo segnali di instabilità che però non vengono da noi». Nel giorno dei vertici politici incrociati di Pd e Pdl, Pierluigi Bersani ha tracciato la linea ai suoi durante la direzione nazionale: sì alla competizione interna e sì (con riserva) alla prosecuzione del governo Monti fino al 2013. La sua relazione è stata votata all’unanimità. Un messaggio chiaro, quello delle primarie, per depotenziare la battaglia antiestablishment di Matteo Renzi e per riprendere centralità all’interno della coalizione. Renzi, che non ha fatto commenti, ha però fatto sapere di avere apprezzato qaunto detto dal segretario sulle primarie.
Una scelta, quella delle primarie, che pone a rischio potenziale la leadership del segretario; non a caso il sindaco di Firenze ha risposto più o meno così: «Siamo in campo e non lo facciamo per partecipare, ma solo perché sappiamo che noi, oggi, in questa gara, possiamo vincere davvero». Quanto alla smentita delle elezioni anticipate da parte di Bersani si tratta di una risposta all’assist di Angelino Alfano sulle riforme e alle preoccupazioni di Mario Monti. A quest’ultimo, poi, il leader del Pd ha dedicato un passaggio significativo della sua relazione: «Se è vero che i conti devono tornare è anche vero che questo è possibile anche senza approcci ragionieristici che vedo troppo spesso». Un modo per garantire sostegno al premier "ma anche" per assecondare i malpancisti democratici più critici verso l’esecutivo, Fassina e Orfini in primis.
Sul filo dell’equilibrio, dunque, è stata scandita la giornata di Bersani, dopo che la vigilia è stata caratterizzata da polemiche interne e dall’invito sul presidenzialismo rivolto dal leader del Pdl. Chiarito l’orizzonte temporale, il segretario ha lanciato la proposta di un percorso comune ai moderati: «Un centrosinistra di governo aperto ad un patto di legislatura con forze democratiche e civiche moderate. Un patto tra progressisti e moderati per ricostruire il Paese che non equivale certo a una "ammucchiata"». Un’alleanza, ha spiegato ancora, aperta «non solo ai partiti di un centrosinistra di governo ma a movimenti, liste civiche e sindaci». Un modo, quello di Bersani, per intestarsi il fenomeno delle liste civiche (dopo i timori legati alla lista Scalfari) all’interno della cornice dei desiderata del Pd, ma anche un tentativo di lanciare un assist ai moderati e allo stesso Montezemolo. E la foto di Vasto? Nel Bersani versione "maggioritario" (quella che «bisogna prendere il toro dell’antipolitica per le corna») non sembra più l’unico orizzonte. Lo si capisce dalla risposta che ha dato ad Antonio Di Pietro: «Deve decidere se vuole insultarci e attaccarci ogni giorno e mancare di rispetto alle istituzioni della Repubblica o fare l’accordo. O l’una o l’altra». Mentre al Movimento 5 stelle ha lanciato una stoccata: «Noi non abbiamo nessuna guerra da fare ma a questo partito è consentito chiedere chi è e cosa vuole fare. Dire cosa si vuole fare significa non limitarsi alle proposte sulla raccolta differenziata ma dire qualcosa di più preciso». Un plauso a queste parole è giunto da Nichi Vendola: «Le parole di Bersani danno fiato e ossigeno: sono molto importanti, c’è il riconoscimento che non bastano i leader dei partiti e i partiti ma che occorre un coinvolgimento di movimenti, organizzazioni e società civile». Il capo del Pd, infine, ha raccolto la sfida di Angelino Alfano, per verificare in tre settimane "se c’é l’accordo" sulla legge elettorale: «La riforma sia però liberata da ogni condizionamento: il semipresidenzialismo non è percorribile in questo scorcio di legislatura», ha chiarito Bersani rilanciando il doppio turno e i collegi. Proprio il doppio turno potrebbe essere la moneta di scambio tra democratici e pidiellini. Alfano è pronto ad accettarlo ma solo se il Pd appoggerà la riforma presidenziale. Presupposto, questo, che sembra già essere caduto.

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