Da Grasso solo un giusto riconoscimento

14 Mag 2012 21:01 - di

Quel “premio speciale” al governo Berlusconi, sul fronte dei sequestri dei beni ai mafiosi, ha creato un cortocircuito se non una vera e propria crisi di nervi in certi ambienti della magistratura. Dato che questo riconoscimento è giunto proprio dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, personalità a cui non si possono di certo addebitare simpatie per il centrodestra, per Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all’Interno e parlamentare del Pdl, che proprio di quel pacchetto sicurezza è stato autore, è la conferma che l’ennesimo tabù è caduto.

Mantovano, è contento delle parole di Pietro Grasso?

A me sembra che sia stata un’attestazione di un buon lavoro che è stato svolto da tutta una squadra. Quando si parla, ad esempio, delle nuove misure che sono entrate in vigore, e delle quali il governo ha posto le basi, occorre dire che è stato un lavoro di insieme al quale ha contributo anche lo stesso Grasso: dato che più di un suggerimento è venuto proprio da lui. È chiaro poi che il governo ha agito in collaborazione con il Parlamento su altre misure: e ciò è avvenuto non solo nel contrasto ma anche nella prevenzione, come ha dimostrato il modello Caserta. Insomma, ciò che ha detto il procuratore non lo prendo come un complimento, quanto come una benevola attestazione di ciò che è stato fatto.

Basta dire però, come ha fatto Grasso, una piccola verità – il governo Berlusconi ha agito bene nel sequestro dei beni ai mafiosi – che scatta la “fatwa” di Magistratura Democratica.

Credo che in questo caso dobbiamo far parlare i fatti. Premesso che il quadro delle norme sui beni si era formato nel corso dei decenni, non si può non constatare come questa legislatura abbia reso più efficace, più estesa quest’azione di contrasto. I risultati parlano chiaro: i sequestri sono aumentati di cinque volte. Non c’è da fare commenti: come non si discutono i numeri di una tornata elettorale, così di fronte all’entità dei beni confiscati. Al seguito di quest’azione, poi, vi sono alcuni territori dove sono mutate addirittura certe dinamiche criminali: i Casalesi, di fronte all’offensiva dello Stato, ad esempio, hanno preferito cambiare aria e andarsene nel Modenese.

Eppure è stato definito “sconcertante” quest’analisi dall’ala sinistra della magistratura.

Non ci sarebbe nulla da dire su questa uscita. Perché sappiamo come la pretesa di questo gruppo associato della magistratura è di dire come si fa politica, non di sanzionare i comportamenti illeciti della politica. Anche di fronte all’evidenza delle cose buone che sono state fatte, per questo gruppo, non vale la realtà ma la deformazione ideologica che deve prevalere su tutto.

Perché dà fastidio sapere che si è andati nella direzione indicata da Giovanni Falcone?

Io credo che la cosa dia fastidio perché in questo modo viene sovvertito un asset ideologico su cui la sinistra ha insistito per decenni: quello della lotta alla mafia come un’esclusiva della sinistra. Quello che è stato fatto, non solo sui beni dei mafiosi, anche in tema di prevenzione, demolisce questo luogo comune. Fa venir meno un argomento forte di propaganda, soprattutto perché quello che è successo si pone come l’antimafia dei fatti, riscontrata dai dati oggettivi, che si è sostituita a quella specializzata nelle chiacchiere.

Dicono che non avete fatto nulla sul fronte della lotta alla mafia in tema di evasione fiscale e corruzione. È così?

Anche quest’accusa è smentita dai fatti: prima di tutto perché evasione fiscale e lotta alla corruzione sono due cose distinte. Sul tema dell’evasione come si fanno a smentire i numeri imponenti del recupero dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza? Sulla corruzione, poi, sarebbe il caso di insistere sul lato della prevenzione più che interrogarsi esclusivamente sull’incremento delle sanzioni (come inserito nella proposta Severino).

Che dire, infine, della battuta del procuratore – “Un magistrato non deve far conoscere le sue simpatie politiche” – riferita a Antonio Ingroia?

In tanti hanno detto che l’autonomia della magistratura deriva dall’immagine di imparzialità che la stessa riesce a dare. Andare in un congresso di partito, come ha fatto Ingroia, e sparare contro avversari politici non garantisce certo questa imparzialità. Se poi un avversario politico capita sotto il giudizio di quel magistrato, si sentirà tutelato? Assieme a questo si dovrebbe evitare di esaltare oltremodo il Ciancimino di turno, magari firmando le prefazioni dei libri…

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