Bersani si sogna cocchiere dei moderati

10 Mag 2012 21:09 - di

Una convinzione si è radicata nei partiti: bisogna andare oltre se stessi, perché da soli non si riesce né a vincere né a intercettare l’elettorato sbalestrato in questi tempi di caos. Ieri Pier Luigi Bersani lo ha detto chiaro e tondo in un’intervista a Repubblica: «Il Pd vuole allargarsi e aprirsi, il centrosinistra non è sufficiente». Benché cantino vittoria, dunque, con le amministrative anche i democratici sono arrivati alla conclusione che bisogna guardare ai moderati. E tentano di avviare quel percorso che prima il Pdl, con l’idea del Polo dei moderati, e poi Pier Ferdinando Casini, con il Partito della nazione, hanno già messo in campo da tempo e che ora vanno rimodulando alla luce dei risultati elettorali, della disaffezione degli italiani nei confronti del governo e dei partiti, dell’avvicinarsi di un voto politico che, in primavera o in autunno che sia, fa ormai da sfondo a tutti i ragionamenti.

Una grande accozzaglia da Sel all’Udc
«Il centrosinistra per la prima volta può sfondare il muro di gomma tra guelfi e ghibellini che è radicato nella nostra storia d’Italia», ha detto Bersani, rivolgendosi «a intellettuali, autorità morali, rappresentanti della vita economica per dire “diamoci la mano”. Penso a un grande rassemblement democratico contro il ripiegamento difensivo della destra». Programmi, proposte e liste aperte, dunque, ma non solo. Perché Bersani non si rivolge solo alla società civile, pensa anche a un superamento della foto di Vasto, sebbene senza volerla archiviare. Punta a Casini, che cerca di attirare a sé con gli avvertimenti più che con le lusinghe. «Non inseguo le dichiarazioni quotidiane. Mi affido ai processi di fondo. Quando la dialettica sarà tra un polo democratico e uno che dà risposte regressive ognuno si assumerà le sue responsabilità», ha risposto il segretario del Pd al cronista che ricordava come Casini con Vasto non voglia avere nulla a che fare. In questa sorta di grande “accozzaglia”, insomma, Casini dovrebbe entrare quasi col cappello in mano, perché «il Pd vuole allargare, ma sa di dover essere il baricentro di una proposta alternativa. Anche rinunciando a qualcosa di suo». A cosa, però, Bersani non l’ha chiarito, limitandosi spiegare che non immagina alcun passo indietro rispetto alla candidatura a Palazzo Chigi. «Il dato che si ricava da queste elezioni è che tocca al Pd. Saremo noi a proporre un nome», ha detto il segretario dei democratici, concludendo poi sul fatto che anche Sel e Idv dovranno convenire con lui. «La solidità e la credibilità di governo – ha spiegato – nascono da un centrosinistra affidabile e da un patto di legislatura più ampio. Teniamo fermo questo punto e ci si convincerà che non esiste una strada diversa». La grande alleanza da Sel all’Udc era stata lanciata il giorno prima da Massimo D’Alema sul Messaggero. Unica differenza: il presidente del Copasir non ripone fiducia nel senso di responsabilità di Di Pietro e quindi sull’Idv non ci conta. Non si tratta però di una posizione monolitica all’interno del partito. Mentre Bersani parlava a Repubblica, infatti, Walter Veltroni parlava al Corriere della Sera e sul da farsi forniva una lettura totalmente diversa. «Casini ha tutt’altro disegno strategico rispetto al nostro. Noi – ha detto – dobbiamo puntare su noi stessi, avere fiducia nella possibilità che il riformismo risponda sia alla domanda di radicale rinnovamento che si esprime con il voto al Movimento cinque stelle, sia alla domanda di innovazione di un elettorato che aveva creduto a Berlusconi e al centro».

Casini «guarda avanti». Al centrodestra?
Ma qual è il disegno strategico di Casini? Anche lui ha maturato la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte e la convinzione di molti è che voglia approfittare del momento per spuntare un accordo vantaggioso con il Pdl. Starebbe dunque guardando alla sua destra, una collocazione assai più naturale di quella che lo dovrebbe vedere sorridente al fianco di Vendola, per il tramite di Bersani. Alcune sue dichiarazioni degli ultimi giorni, del resto, sembrano andare proprio in questa direzione. «Sono convinto che ci sono forze responsabili all’interno del Pdl, che hanno fatto prevalere l’appoggio a Monti e che non sono assolutamente intenzionate a portare l’Italia sul baratro», ha risposto ieri a chi gli chiedeva se esista il rischio che il Pdl “stacchi la spina” al governo. «Francamente non credo che questo sia il momento dei giochini, delle vecchie polemiche», ha poi aggiunto, spiegando che «è il momento di guardare avanti e avere senso di responsabilità». Se non era un “messaggio in codice”, certo lo sembrava. Ciò che non è passibile di interpretazioni, invece, è il fatto che Casini, che ha detto di non sentirsi l’ago della bilancia e di essere abituato ai corteggiamenti, voglia tenersi le mani libere, come ha dimostrato con lo scioglimento coatto del Terzo Polo. Una mossa che ha messo in comprensibile agitazione i partner. Ieri due senatori dell’Api di Rutelli, Franco Bruno e Cristina De Luca, gli hanno rivolto un vero e proprio appello: «Il Terzo Polo può ancora essere il punto di aggregazione di una lunga stagione di unità nazionale», hanno detto, spiegando di ritenere che «non sia sufficiente l’arretramento di qualche punto “decimale” registrato dall’Udc alle amministrative per mandare in soffitta un progetto politico di respiro più ampio». Con Fli, invece, si è ormai al botta e risposta piccato. Un retroscena della Stampa di ieri riferiva che Casini «non sopporta più di stare insieme a esponenti di Fli come Briguglio e Granata». «Ho letto cose sui giornali… A me interessa il rapporto personale con Fini, verso il quale ho grande rispetto. Poi non è che mi sveglio pensando a Granata o mi addormento pensando a Briguglio…», ha risposto Casini ai cronisti che gli chiedevano chiarimenti. Di lì a poco la replica di Granata: «Ci mancava solo la citazione di Italo Bocchino. Per deferirci un’altra volta ai probi viri!!». È evidente che alla base di questo scambio di battute c’è qualcosa di più delle simpatie e delle antipatie: c’è il fatto che l’ala di Fli in cui si riconoscono Granata e Bocchino è contro lo scioglimento del partito, mentre Casini è già andato oltre. «Scioglierci? Non è nel novero delle cose possibili», ha detto ieri Bocchino, mentre l’Udc annunciava per giugno «una campagna di partecipazione e coinvolgimento dei suoi rappresentanti sul territorio, in vista della costruzione del nuovo soggetto».

Il Pdl per il partito dei moderati
In casa Pdl, invece, l’idea di dare vita a un partito di moderati insieme ai centristi mette d’accordo praticamente tutti. Da Altero Matteoli a Mariastella Gelmini, da Fabrizio Cicchitto a Osvaldo Napoli fino a Margherita Boniver, ieri, in molti hanno ripetuto che per il partito è ora di imboccare con decisione la nuova strada. «Dalle parole di Bersani arriva una spinta in più per riunificare i moderati e quanti non sono di sinistra. Egli spiega bene perché i moderati devono evitare di consegnargli il Paese», ha detto Matteoli, che auspica «che si lavori con impegno e aperture reciproche per un grande rassemblement, una federazione o qualcos’altro che porti a un nuovo progetto comune fondato sugli ideali e sulle cose da fare al servizio del Paese». Per Cicchitto, poi, «Casini ha preso atto della battuta d’arresto dell’operazione Terzo Polo, che non ha affatto sfruttato le difficoltà del Pdl il quale per parte sua ha comunque tenuto e di qui può ripartire. Di conseguenza il problema fondamentale è quello di costruire una grande aggregazione dei moderati». Margherita Boniver ha spiegato che «più che di moderati mi piacerebbe si parlasse di patrioti ovvero di persone attente al bene comune», ma la sostanza non cambia, mentre è stata la Gelmini a ricordare che «con Alfano non è da oggi che parliamo della necessità di procedere a una larga aggregazione dei moderati. Con Casini stiamo a vedere…».

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