Maurizio Castro: «Ddl lavoro, quanti errori dalla Fornero»

25 Apr 2012 20:25 - di

Sui banchi della commissione Lavoro del Senato sono oltre mille gli emendamenti al disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro presentati da tutte le forze politiche. La maggior parte di questi “ritocchi” sono firmati Pdl, impegnato da sempre nella battaglia sulla flessibilità in entrata, che tradotto in termini pratici vuol dire assunzioni e norme meno rigide e burocratiche per l’ingresso nel mondo del lavoro. Martedì scorso in Commissione s’è vissuta una giornata intensa, ci racconta il relatore del ddl per il Pdl, Maurizio Castro, e ha conosciuto un momento di fibrillazione quando a proposito dell’articolo 18 il governo ha confermato l’intenzione, su spinta del centrodestra, di ritoccare il testo del ddl nella parte relativa ai  licenziamenti: meno poteri ai giudici in caso di licenziamenti disciplinari, più tutele in caso di licenziamenti economici per i lavoratori che devono affrontare un processo e sono arrivati alla fase dell’appello. Queste due novità potrebbero arrivare proprio con un emendamento del governo. Nell’attesa, il senatore Castro stila un primo bilancio sugli altri aggiustamenti che il Pdl ha messo nero su bianco per migliorare la riforma del lavoro.

Il Pdl ha concentrato tutte le sue proposte emendative su un incremento della qualità e dell’intensità della flessibilità in entrata. Quali fronti sono per voi determinanti?

Sia la norma sui contratti a tempo determinato sia quella sulle partite Iva, che anche quella sull’apprendistato, meritano un tocco propulsivo. Non vogliamo, cioè, snaturare l’assetto dato dal governo, ma riteniamo che le imprese debbano godere di una flessibilità più compiuta per poter realizzare quell’incremento occupazionale che è uno degli elementi fondanti della “ratio” della norma.

Cosa non va nel disegno di legge Fornero per quel che riguarda i contratti a termine?

Noi stiamo lavorando affinché i contratti a termine non vengano penalizzati nella fase di rinnovo. Il problema è la lunghezza delle pause che devono intercorrere tra un contratto a termine e il successivo per creare discontinuità: oggi sono previsti 20 giorni di stop, che il ddl Fornero porta a 90. Tre mesi sono decisamente troppi. L’obiettivo è trovare una mediazione: o una forte riduzione oppure l’individuazione di alcune causali organizzative che legittimino la riassunzione entro termini più brevi. Per esempio, il lancio di un nuovo prodotto, la partenza di una nuova fase di un progetto di ricerca, la reiterazione di una commessa.

Come intendete modificare le norme del ddl che riguardano le partite Iva?

Sulle partite Iva il ddl Fornero prevede che se c’è più del 75% dei compensi provenienti da un solo committente, e se sussiste la durata di più di sei mesi del rapporto di lavoro con una scrivania disponibile presso quel datore di lavoro, il contratto venga convertito in lavoro dipendente. Una follia. Il Pdl intende tutelare le partite Iva genuine. Si tratterebbe di garantire quei soggetti dal profilo formativo alto, come i creativi, i designer, gli informatici, i pubblicitari che rischiano con le norme del ddl governativo di vedersi obbligati a trasformarsi in travet contro il loro desiderio di imprenditorialità, che va, al contrario, incoraggiato. L’emendamento è orientato a una logica di salvaguardia delle forme di lavoro richieste dal fronte più dinamico e terziarizzato della nostra economia.

Sempre in tema di flessibilità in entrata, l’altro intervento forte riguarda l’apprendistato. Cosa proponete?

È intenzione del Pdl tutelare gli imprenditori onesti. Prendiamo il caso di un’azienda in crisi che non può assumere, in buona fede, gli apprendisti che aveva. La legge consentiva, nel caso in cui l’azienda registrasse una fase di ripresa, la possiiblità di assumere dopo un anno nuovi apprendisti. Il ddl Fornero ora impone che debba essere stabilizzato il 50% di quelli vecchi, se l’azienda vuole assumere altri apprendisti. Questo è un grave problema in tempi di difficoltà per le imprese come quello he stiamo vivendo: la nostra volontà è di ridurre la quota del 50%.

Lavoro a chiamata, il cosiddetto “job on call” e i “voucher: altri vostri emendamenti correttivi prendono in esame questi due aspetti delle dinamiche lavorative che riguardano soprattutto i giovani. Ce li spiega?

Precedentemente, in base alla legge Biagi era possibile chiamare giovani ed anziani, rispettivamente entro ed oltre una certo limite di età. La logica era chiara, favorire l’ingresso per i  primi e un ancoraggio al mercato del lavoro ai secondi. Ebbene, il ministro Fornero ha abolito del tutto questa possibilità di lavoro a chiamata. Noi vogliamo che venga reintrodotta e ce la metteremo tutta per ottenerla.

E veniamo al capitolo “voucher”.

Si tratta del cosiddetto “lavoro accessorio”. Il ddl Fornero prevede che le norme riguardanti questa fetta di mercato del lavoro siano applicate solo agli impieghi nel settore agricolo, per esempio a coloro che vengono chiamati per la raccolta stagionale di prodotti, per la vendemmia e quant’altro. L’emendamento del Pdl intende estendere questa modalità di pagamento in “voucher” anche ad altri campi che in questo momento rappresentano settori in crescita, turismo, svago,  divertimenti: pensiamo a quanti ragazzi e studenti nell’attesa di lavoro stabile decidono di fare i bagnini nei centri sportivi privati o d’estate negli stabilimenti balneari, oppure a chi cerca un impiego nelle discoteche, come promoter, come guida turistica.

I vantaggi del vostro emendamento?

Anzitutto far emergere il lavoro nero, perché tutte queste attività che ho elencato rientrano in questa modalità di pagamento. Ma il il vantaggio vero è per questi lavoratori più giovani, perché i “voucher” hanno una copertura assicurativa e previdenziale. Danno garanzie nella sicurezza sul lavoro e possono essere dei tasselli importanti da far valere nel computo della pensione. In un momento in cui si chiede loro di lavorare fino a 67 anni, non mi pare poco. No?

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