Lavoro, il problema è dare lo zuccherino ai democrats e alla Cgil

3 Apr 2012 20:34 - di

Più che il destino dei lavoratori, il problema di Monti e della Fornero è quello di dare un contentino a Bersani e la Camusso, una scusa qualsiasi che loro possano “regalare” ai militanti del Pd e agli iscritti della Cgil. Il classico zuccherino, capace di addolcire una pillola amara e riuscire a non avere un’emorragia di iscritti e di consensi. Il testo della riforma del lavoro è lì, quasi completo, mancano solo le firme. Il governo prova a stringere i tempi, Monti ha avuto una giornata di contatti importanti, ha incontrato la sua “ministra”, ha telefonato ai segretari dei partiti di maggioranza (con Bersani ci sarebbe stato addirittura un confrionto semi-clandestino), ha incassato il sì di Silvio Berlusconi («la riforma va fatta per modernizzare il Paese»). Resta solo da convincere i democrats che non hanno da avere troppa paura, meglio una decisione ferma che un «sì, no, forse» che non convince neppure il più fedele iscritto al partito.

L’irrigidimento della Camusso

La Camusso avverte: «Senza reintegro le proteste continuano». Ed è proprio su questa materia che sembrano essersi aperti gli spiragli minimi per dialogare. Secondo i bene informati, infatti, la Fornero avrebbe già tra le ipotesi possibili quella di trasferire l’onere della prova per il licenziamento economico del lavoratore in capo all’azienda. Una disponibilità di minima che il Pd apprezzerebbe e attorno a cui potrebbero realizzarsi i nuovi contatti in grado di portare il prima possibile a un accordo su un testo condiviso da recapitare poi a Napolitano per essere sottoposto alle sue valutazioni prima di Pasqua. I presupposti perché questo percorso possa realizzarsi sembra ci siano tutti. Elsa Fornero, intercettata ieri dai giornalisti, ha fatto sapere che l’articolato del disegno di legge potrebbe essere pronto già nella mattinata di oggi e ha reso noto che su di esso si sta già svolgendo un confronto approfondito con il presidente del Consiglio. «Dal mio punto di vista – ha detto il ministro del Welfare – il testo è praticamente pronto». E il premier che cosa ne pensa? «Ne dobbiamo ancora parlare – ha detto la Fornero – ci sono molti argomenti, molto complessi, e ognuno deve essere guardato».

La regia della Cgil
Il premier da una parte e il Quirinale dall’altra cercano di fare pressione sui partiti di maggioranza e sulle organizzazioni sindacali perché si possano stringere i tempi. Napolitano, di ritorno dalla Giordania, sembra abbia atteso con impazienza la chiamata di Monti che, da parte sua, si è dato da fare a Palazzo Chigi per trovare la quadra ai problemi sul tappeto. Per Bersani, però, «non c’è nessuna concreta novità sulla modifica dell’articolo 18». La porta resta aperta alle novità ma, al momento,prevalgono gli auspici sulle cose concrete. «Spero – fa sapere Bersani – che la messa a punto possa arrivare nei prossimi giorni». Cosa di concreto si aspetta il Pd nemmeno il segretario del partito è in grado di dirlo. A dare le carte è la Cgil, con una serie di arroccamenti che si ripercuotono a a Largo del Nazareno. La Camusso non si sbilancia: «Mi pare – afferma – che il Pd abbia una posizione ben precisa speriamo che si traduca in soluzioni positive. L’ultima volta che ci siamo incontrati con Bersani era intorno alla conclusione della trattativa, e in questi giorni si sono affastellate molte cose». È evidente, però, che il testo della Fornero tutto può essere tranne che rivoluzionato. Angelino Alfano dà l’altolà: «Attendiamo che il governo faccia la sua proposta – dice – ma se saranno avanzate delle modifiche anche noi abbiamo  i nostri suggerimenti». Se il Pd vuole modificare la parte relativa all’articolo 18, infatti, il Pdl non condivide l’inasprimento contributivo a carico delle piccole imprese.

Il Pdl svela l’inganno
La golden share del comportamento del Pd, in sostanza, continua ad essere nelle mani della Cgil. In troppi pendono dalle labbra della Camusso, che Maurizio Gasparri accusa di arrogarsi il diritto «di stilare pagelle». Il tema è sempre lo stesso: «Meglio fare la riforma insieme che separati – dice Alfano – ma se  la Cgil dice no alla modifica dell’articolo 18, allora che cosa si fa? La Cgil non può dettare l’agenda delle priorità del governo e dei partiti che lo sostengono». Una riflessione che riassume in poche parole quelli che sono i termini della questione e tocca più di un nervo scoperto in casa della Camusso, dove si torna a brandire l’arma dello sciopero generalei. Gasparri ribadisce la volontà del Pdl di «ascoltare la società, mentre a Corso d’Italia ascoltano solo alcuni» e Alfano si pone il problema di ottenere «una maggiore equità per i dipendenti pubblici e privati, dare la considerazione opportuna al lavoro autonomo e alle professioni, non alimentare odio di classe come fa la Cgil e le sue aree più estremiste». Con le ricette della Cgil, dice il capogruppo dei senatori del Pdl, non si risolvono i problemi «del contagiare l’intero mondo degli operatori che in questi giorni si stanno adoperando per  sbrogliare l’intricata matassa della riforma del mercato del lavoro. Un’intesa? «Non mi risulta ci sia ancora – afferma Gasparri – quando sarà nell’ordine delle cose la valuteremo. Siamo il partito della crescita e dello sviluppo, non vogliamo fare la guerra civile sull’articolo 18. Per noi è fondamentale evitare rigidità in materia di assunzioni».

Iniziative per la crescita
Un tema – quello delle assunzioni e dello sviluppo – che sta a cuore anche alla Uil. Il sindacato di Luigi Angeletti ieri ha riunito la propria segreteria e al termine ha annunciato la convocazione per il 12 aprile della direzione della Confederazione da cui dovrebbe partire la richiesta ufficiale alle altre organizzazioni sindacali per una grande mobilitazione unitaria su fisco e crescita. «In quell’occasione – si rileva in una nota – si proporrà a Cgil e Cisl di programmare iniziative di mobilitazione comuni, da attuare tra la fine del mese di aprile e i primi di maggio». Tutto qui? No. Alla contrapposizione tra governo e Cgil si affianca anche quella tra la Confindustria e lo stesso sindacato della Camusso. Emma Marcegaglia fa il punto della situazione e sottolinea, con riferimento al cosiddetto «modello tedesco» che le colombe del sindacato avrebbero messo a punto per la mediazione finale, che in Italia la situazione è complicata da un problema che la Germania certamente non ha: «Un pezzo di sindacato che ha una visione ideologica di contrapposizione con l’impresa». In una parola la Cgil che risponde a brutto muso sottolineando che «i grandi temi della competitività non sono certamente rappresentati dalla libertà di licenziare ma dalla capacità di stare dentro un sistema in cui ricerca e innovazione diventino i punti fondamentali per vincere la sfida globale». «Il mondo delle imprese, invece di domandarsi come dovrà essere il sindacato del futuro – osserva il segretario confederale Vincenzo Scudiere –  farebbe bene a interrogarsi su come dovranno essere le imprese nei prossimi anni e rispondere ai grandi temi della competitività». Un colpo alla Confindustria e un altro al governo. La Camusso, facendo riferimento ai provvedimenti del governo Monti, sottolinea che «l’impressione è che più che fare i compiti a casa vogliamo fare i primi della classe». Un esempio? «Tutti i provvedimenti» fin qui varati sotto la spinta dell’Europa non hanno al centro i veri problemi della produzione e della crescita, ma «politiche che tendono all’obiettivo di rientro dal debito con un taglio delle condizioni dei lavoratori».

Bonanni possibilista
Ma per una Cgil che fa le barricate c’è anche una Cisl che invece è più possibilista. Raffaele Bonanni, che tanto si è speso per ammorbidire la norma sui licenziamenti economici, adesso, quasi a voler dare per scontato che il negoziato potrebbe essere in dirittura d’arrivo,  parla di «buon compromesso». «Alla fine non siamo arrivati a una soluzione perfetta – afferma – ma viste le posizioni di partenza possiamo dire che abbiamo fatto molta strada». L’asso nella manica è ancora il «modello tedesco». «Se il governo adotterà questa soluzione – sostiene –  troverà la nostra soddisfazione. Monti sarà sbugiardato? No, perché mai? Anche Confindustria dovrebbe accettarla. Emma Marcegaglia non avrebbe niente di meno rispetto ai suoi colleghi tedeschi». Già, obietta qualcuno, ma in Germania non hanno certo i giudici italiani. Là i reintegri si contano sulle dita di una mano, da noi invece è consolidata la giurisprudenza secondo cui nel 90 per cento dei casi in tribunale è il lavoratore ad avere ragione. Alla fine di tutta questa storia, quindi, potremmo trovarci di fronte a una riforma che non sposterebbe nulla o quasi.

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