Che male c’è se lo zar Putin fa il sex symbol?

5 Mar 2012 20:42 - di

Nell’ottica neocoloniale con cui l’Occidente continua a guardare l’altro da sé, il fenomeno Putin risulta ancora incomprensibile. Sabato scorso, per esempio, nella (bella, peraltro) trasmissione di Raitre “Tv Talk” è stato mandato in onda un vero spot elettorale putiniano dedicato ai giovani che nelle elezioni del weekend si trovavano per la prima volta nell’urna. Scena: una ragazza giovane e piuttosto carina è dallo psicologo. «Vede dottore, sono preoccupata», spiega timorosa. «Non si preoccupi, tutti sono preoccupati la prima volta», la rassicura l’analista. «Non so – ribatte lei – sono davvero preoccupata anche se la mia è una scelta d’amore». Poi la battuta risolutiva: «La cosa migliore – spiega lo psicologo – è avere fiducia nella propria scelta. Perché la fiducia è amore». L’inquadratura si sposta su una foto di Putin e allora è tutto chiaro: non si parlava di verginità, ma di elezioni. Lo spot si conclude con la ragazza che si reca al seggio e lo slogan: “Putin, la prima volta è solo per amore”. Scontate le ironie in studio, ma anche un po’ di indignazione che fa sempre bene: basare la politica su questa dimensione erotica, spiegano gli esperti, ricorda un po’ il modo di comunicare di certi gerarchi fascisti. Vero, ma capziosamente parziale. Ad associare la polis all’eros, infatti, non sono solo i reprobi reazionari (ed è ovvio che Berlusconi fosse sullo sfondo, in quella discussione).
Guardiamo al di là dell’Atlantico: davvero pensate che la popolarità di Kennedy fosse estranea alla sua carica (e alla sua effettiva voracità) erotica, soprattutto se confrontata con l’avvizzita asessualità di Nixon? E Clinton, prima di prenderci gusto e violare i codici puritani, non si è sempre presentato con la faccia da marpione dell’Arkansas? Ma pensiamo anche a Obama e a quella sorta di culto della personalità che ne ha segnato la campagna elettorale: quel figo di Barack che gioca a basket, com’è cool quando prende le mosche al volo prima di un’intervista. Cos’era, quello sfortunato insetto, se non la versione demoplutoamericana delle tigri siberiane cacciate da Putin? Ma anche in Europa, dove la politica ha sempre seguito binari meno mediatici, non mancano esempi interessanti: sicuri che la relazione Bruni-Sarkozy non sia anche e soprattutto un fatto politico? E chi ricorda, da noi,  la virile arroganza di Bettino Craxi e persino la comica posa da viveur di De Michelis? E se l’ascetismo marxiano (che Marx non rispettò, peraltro) ha per molto tempo lasciato i leader del Pci nel regno dell’incorporeo, lo stesso non si può dire per i vari liderini della contestazione, dove fare politica a sinistra voleva dire spesso imporsi con un carisma istintivo e pre-politico, che non di rado finiva per saggiare con mano quel che c’era di vero sulle teorie dell’amore libero. Si potrebbe riflettere su tutto questo. O anche solo provare a immaginare cosa significhi vedere un leader tonico e sportivo per una nazione abituata ai barcollamenti etilici in mondovisione di Boris Eltsin. Uno su cui la stampa di casa nostra non ha mai avuto granché da ridire. Chissà perché.

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