Cascioli, psicologo del lavoro: «L’articolo 18? I veri pericoli sono altri»

20 Mar 2012 20:42 - di

«La revisione dell’articolo 18 scatena una paura fortissima che nasce dall’insicurezza che c’è in Italia nel mondo del lavoro». Il professor Alfio Cascioli, psicologo del lavoro e docente alla “Luiss Business School”, si dedica soprattutto alla consulenza aziendale e al campo della motivazione personale. «Sono tantissimi – spiega – quelli che hanno perso l’occupazione e sono tantissimi quelli che continuano a lavorare nelle aziende in un clima interno di grandissima insicurezza. In questa situazione difficilissima bisognerebbe rilanciare l’economia e, quindi, offrire più sicurezza: a quelli che non hanno un lavoro, creando le condizioni perché possano avere un’occupazione e a quelli che il lavoro ce l’hanno rassicurandoli che non rischiano di perderlo giorno dopo giorno».

Sembra piuttosto utopico…

Non nei fatti. Il problema vero in Italia non è dato dalla revisione dell’articolo 18, ma dalla mancanza di lavoro. Milioni di persone, molte con famiglia, non hanno più un reddito. Molte coppie giovani del Sud hanno perso contemporaneamente il lavoro e, spesso con bambini, sono tornati a vivere nella famiglia d’origine dove il reddito che entra è quello di una pensione d’anzianità. Detto ciò ci sono degli aspetti positivi che la revisione dell’articolo 18 potrebbe portare….

Per esempio quali?

Se la revisione dell’articolo 18 può significare la possibilità di dare lavoro ai giovani e aprire le porte a quelli che non lavorano, chiaramente sono favorevole. Anche se questo significa diminuire un po’ le tutele per chi il lavoro ce l’ha.

Resta il fatto che c’è una diffusa paura di licenziamento.

Una paura motivata che nasce anche dal fatto che molte aziende hanno approfittato della crisi, pur andando bene, per ridurre il personale: e i lavoratori che sono rimasti dentro sono stati chiamati a lavorare anche per quelli che non ci sono più. È chiaro che lavorano in un clima di forte insicurezza e quello che sta succedendo nel Paese di certo non li aiuta.

C’è una “psicologia” del lavoro flessibile?

Le persone che lavorano devono essere consapevoli che comunque vadano le cose la sicurezza del posto di lavoro per tutta la vita non ci sarà più. E questa situazione, prima o poi, varrà anche per gli impiegati statali. Per tutti ci sarà un problema di adattamento psicologico.

In che modo dovrà avvenire?

Le persone sempre di più dovranno gestire bene il “cambiamento” e psicologicamente è difficile. Qualsiasi cambiamento, nel lavoro, nella salute, negli affetti, suscita insicurezza. E quando questa supera certi limiti può sconfinare nell’ansia. Cambiamento significa il nuovo, lo sconosciuto, e spesso non sappiamo come affrontarlo e non sappiamo mai in anticipo i risultati. In questo senso il cambiamento ci mette profondamente alla prova. Se non c’è una profonda autostima e fiducia in se stessi si rischia di crollare. Con tutte le conseguenze che ne derivano.

E quindi si riuscirà a riconvertire la mentalità diffusa al lavoro flessibile?

C’è un cambiamento culturale da acquisire. I giovani, la cultura della flessibilità ce l’hanno già, perché quelli che stanno cercando lavoro da dieci-quindici anni hanno sempre trovato un lavoro flessibile. Da più di quindici anni il lavoro a tempo indeterminato non c’è più. Ormai la cultura della flessibilità s’impone di fatto. Per un giovane questo modello può essere una risorsa, perché lo stimola a crescere, a non adagiarsi, a sentirsi in formazione continua. In poche parole, a sentirsi sempre più pronto al cambiamento.

Ma in Italia c’è una sindrome del posto fisso?

Per un certo tempo c’è stata. È chiaro che in linea di massima le persone cercano di avere sicurezza e stabilità. Il lavoro fisso serve per avere il mutuo, per mettere su famiglia. Il problema è che i giovani non avranno più l’obiettivo del lavoro a tempo indeterminato semplicemente perché non ci sarà più.

È possibile che senza l’articolo 18 il lavoratore italiano sia disposto sempre più a tutto pur di non perdere il lavoro?

Tutti quanti abbiamo difficoltà a gestire le situazioni di fronte alle quali siamo impotenti. Di fronte a un imprenditore o a un dirigente d’azienda che ha in mano completamente il nostro lavoro e il nostro futuro, spesso ci si sente impotenti e, quindi, il lavoratore deve gestire il massimo dell’insicurezza e dell’ansia che lo sovrastano. Persone che nascono coraggiose non esistono. Coraggiosi sono tutti coloro, e oggi sono davvero tanti, che trovandosi in queste situazioni drammatiche riescono pur tuttavia  a gestire con dignità la loro insicurezza e le loro paure.

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