Silvio, da iper-intercettato a unico “intercettatore”

7 Feb 2012 20:25 - di

Si risolverà in una bolla di sapone, giura Niccolò Ghedini. Anche se, trattandosi di Silvio Berlusconi, non è escluso che i magistrati milanesi vadano “fino in fondo”. Parliamo del processo che vede imputato il Cavaliere perché avrebbe reso pubblica (passando la notizia al “Giornale”) la gaffe telefonica di Piero Fassino a proposito di Unipol. Ricordate? La famosa frase “allora abbiamo una banca?” rivolta a Giovanni Consorte. Ieri l’ex presidente del Consiglio è stato rinviato a giudizio e andrà a processo il prossimo 15 marzo. Lo ha deciso il gup milanese Maria Grazia Domanico, dopo che il pubblico ministero Maurizio Romanelli, al termine delle indagini preliminari, aveva chiesto di prosciogliere l’ex premier spiegando che non c’era alcuna prova del suo coinvolgimento nella violazione del segreto d’ufficio (presunto coinvolgimento scaturito da una denuncia di Antonio Di Pietro, nemico numero uno di Berlusconi).

Un processo unico in Italia
È l’unico processo in Italia per il 326, ossia per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, fa notare Ghedini. «È un altro bel colpo per il Tribunale di Milano», prosegue l’avvocato del Cavaliere, che ieri, presentandosi in tribunale per rilasciare dichiarazioni spontanee, ha confermato di non aver mai «ascoltato» l’intercettazione tra l’allora leader dei Ds Pe l’ex numero uno di Unipol e di non aver mai avuto «alcuna compartecipazione nella vicenda». Non ha negato, invece, di aver ricevuto gli imprenditori Favata e Raffaelli ad Arcore la vigilia di Natale del 2005, ma che «li ha ricevuti come riceve e ha ricevuto altre centinaia di imprenditori».

La scalata di Unipol
I fatti sono noti: nel dicembre 2005 il Giornale pubblicò un’intercettazione in cui Fassino commentava favorevolmente la conquista da parte di Unipol della Banca nazionale del Lavoro, con l’ormai famosa uscita: «Allora abbiamo una banca!». Non è un mistero che per trainare Unipol e le coop rosse al comando di Bnl, nei momenti decisivi della scalata, Consorte si avvalse di una rete di coperture politiche e salde alleanze con i vertici dei Ds, molto interessati ai destini della banca. Ma non si può dire, non si deve scrivere, non si può violare la privacy dell’attuale sindaco di Torino. Il colloquio telefonico della svolta è quello del 18 luglio. In mattinata, alle 12, Unipol comunica al mercato che si prepara a lanciare un’Opa obbligatoria sulla Banca nazionale del lavoro. L’Ansa lancia la notizia alle 12,21. Dopo un’ora Consorte si dedica ai suoi rapporti politici: prima si sente tre volte con il senatore diessino Nicola La Torre, dalemiano doc, poi chiama Fassino, che tra l’altro aveva sentito proprio la sera prima. Entrambi sono soddisfatti: Fassino insolitamente diretto chiede “e allora siamo padroni di una banca?” e Consorte dice “è chiusa, sì, è fatta”. Poi il segretario dei Ds mostra un attimo di esitazione, capisce forse di essersi mostrato troppo euforico e preferisce correggersi con “siete voi i padroni della banca, io non c’entro niente”; Consorte sta al gioco “si’, è fatta, è stata una vicenda, credimi, davvero durissima… però sai… (parola incomprensibile). E Fassino conviene: «Già, ormai è proprio fatta». Invece di indagare sui rapporti tra i vertici di un partito e le scalate bancarie, stavolta i magistrati si concentrano sui responsabili della fuga di notizie, attenzione che andrebbe rivolta sempre e non a fasi alterne. Quando nel mirino di conversazioni rubate finisce un esponente della sinistra allora le intercettazioni non sono pienamente legittime, la privacy è inviolabile, l’eventuale pubblicazione (come in Italia si fa sempre) è uno scandalo e chi è responsabile deve finire dietro le sbarre. Nel nostro caso contro il Giornale e per “logica” anche il Cavaliere. Quando nel mirino è Berlusconi, come è accaduto negli ultimi dieci anni, non si va tanto per il sottile: centinaia e centinaia di intercettazioni abusive sono state date in pasto alla stampa processando il premier sommariamente senza che quasi nessuno alzasse un dito. Oggi si processa per il motivo contrario.

La privacy a intermittenza
Quando il centrodestra ha posto il problema dell’abuso di intercettazioni e della pubblicazione illegittima tentando di mettere ordine con una legge “ad hoc”, è stato regolarmente accusato di agire in difesa di Berlusconi e non della collettività, di voler confezionare un’altra legge “ad personam”. Si sollevò mezzo mondo, si mobilitarono quotidiani e opinione pubblica, si fecero cortei, scioperi e sit-in per la salvaguardia del diritto di cronaca. «La priorità per Silvio Berlusconi è approvare la legge Bavaglio –  scriveva il Fatto Quotidiano in buona compagnia – fissare dei paletti stretti alla libertà di stampa e soprattutto vietare la divulgazione delle intercettazioni». Contro il varo della legge si levò persino la protesta di Amnesty international. Christine Weise, presidente della sezione italiana, denunciò il rischio che le violazioni dei diritti umani non potessero essere più denunciate. Così il testo approvato alla Camera, poi ritoccato al Senato, ritornò alla Camera dove si è arenato.

La faccia tosta del Pd
Neanche a dirlo Fassino ha intenzione di costituirsi parte civile per chiedere i danni nel processo per la vicenda della fuga di notizie sulle intercettazioni che lo riguardano. Il sindaco di Torino è già parte civile nel processo, che riprenderà il prossimo 6 marzo, a carico di Paolo Berlusconi, imputato per rivelazione di segreto d’ufficio, ricettazione e millantato credito per la stessa vicenda. «È essenziale che a questo punto i due processi vengano riuniti, perché fare due dibattimenti sarebbe una perdita di tempo», dice il suo avvocato. Per i Democratici la sentenza è già scritta: «Berlusconi predica bene ma razzola male. Ha cavalcato dal governo in Parlamento la battaglia contro le intercettazioni selvagge mentre allo stesso tempo si faceva tramite della diffusione d’intercettazioni che, guarda caso, riguardavano i suoi avversari politici. In tribunale Berlusconi avrà modo di spiegare ai giudici e a tutti gli italiani le ragioni di questo doppio binario».

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