La Merkel oggi marcia su Roma,  Monti l’accoglie come una “diva”

16 Feb 2012 20:22 - di

La Merkel è pronta a marciare su Roma. Oggi verrà accolta dal “re” Monti, che le aprirà le porte di Palazzo Chigi, le stesse che sono state aperte a lui grazie proprio alle “manovre” della Cancelliera. Il tutto, alla presenza di Napolitano, che continua a magnificare il premier italiano, parlando persino degli applausi ricevuti al Parlamento europeo, dandogli un significato politico e non di buona educazione. Un significato sempre in chiave antiberlusconiana, Ma sì, «Monti è bravo», dirà la Merkel. «Abbiamo un grande sostegno dalla Germania», dirà Super Mario. E tutta la stampa “montiana” parlerà del ritrovato amore tra i vertici dei due Paesi, dopo il rischio di divorzio causato dagli atteggiamenti del Cav. Sullo sfondo, la nuova offensiva europea di Moody’s. L’agenzia Usa, a pochi giorni dal declassamento di Italia, Spagna e altri Paesi europei, ha abbassato il rating di ben 114 banche, di cui 24 italiane, e ridotto il voto a Eni, Poste, Finmeccanica, Generali e Unipol. Le manovre contro l’Europa dell’euro, insomma, continuano: ci sia o meno Berlusconi a Palazzo Chigi.

Atene fa ancora paura
Spaventa la questione greca, sempre in attesa di soluzioni e con i mercati in allarme per la possibilità di fallimento. La situazione, dunque, si rasserena a parole ma nei fatti continua a destare allarme. Tanto che lo spread tra il nostro Btp decennale e il bund tedesco ieri è tornato a salire in mattinata fino a 409,96 punti base per poi ripiegare a 375,8. Le Borse europee, in terreno negativo per tutta la giornata, sono state un termometro fedele del pessimismo che, nonostante i sacrifici imposti dalla Germania, si continua a respirare. Anche perché la Bce, nel consueto Bollettino, ha tagliato le stime sulla crescita dell’Eurozona per il 2012 e ha rivisto al rialzo l’inlazione.

La storia degli applausi al premier
Le politiche che hanno determinato le dimissioni di  Berlusconi e l’arrivo a Palazzo Chigi di Monti non sembrano dare i risultati previsti. Non c’è più l’attacco a testa bassa nei confronti dell’Italia, sponsorizzato dalla Merkel e da Sarkozy, e portato avanti dai partiti della ex opposizione e dai grandi organi di stampa, ma il risultato non cambia di molto. Monti e il suo governo propinano stangate agli italiani e incassano molti elogi all’estero ma in casa nostra destano non poche perplessità anche se la parola d’ordine sembra essere quella di non disturbare il manovratore. Giorgio Napolitano ha risposto a un cronista che gli chiedeva se gli applausi riservati mercoledì dal Parlamento europeo al premier italiano erano da considerarsi un buon segno: «Naturalmente sì – ha detto – conosco il Parlamento europeo e immagino le motivazioni». Un modo come un altro per marcare le differenze rispetto al Cavaliere. Ovviamente la situazione difficile era e difficile resta. E le riforme effettuate sono sicuramente tali da far piacere alla Merkel, ma lasciano gli italiani non poco disorientati e certamente con il portafoglio più leggero. Napolitano, Sarkozy, la redazione unica del Repubblichiere della Sera e la cancelliera tedesca serrano così i ranghi e suonano la grancassa a beneficio del presidente del Consiglio. Una strategia che passa per il dialogo tra Roma e Berlino, rafforzato da quando Monti ha iniziato a seguire pedissequamente i suggerimenti che arrivano dalla Merkel. Il taglio delle pensioni, l’Ici, l’aumento dell’Iva e delle accise varranno pure qualche sorriso. Così oggi la Merkel sbarca a Roma.

La guerra lampo dei “fratelli Marx”
Un premier, Berlusconi, eletto democraticamente e sacrificato sull’altare dello spread, sostituito con uno nuovo, Monti, che avrà pure la fiducia dei mercati, sarà conosciuto dalla grande Finanza, piacerà a Napolitano e sarà simpatico alla Merkel, ma non si è presentato a nessuna elezione e non è stato delegato a governare dai cittadini. «Con Monti democrazia annichilita», dice Fausto Bertinotti, comunista doc ed ex presidente della Camera, che parla di «governo che esautora la politica» e con delle decisioni che rappresentano «un’imposizione dall’alto arriva a chiedere anche modifiche costituzionali». Bertinotti ha parlato di un esecutivo «tecnocrate che riposa sull’idea “o me o il caos”. Questa – ha aggiunto – è la cronaca della fine della democrazia parlamentare: è il bonapartismo». Quindi il ricordo di quello che è successo questa estate. «Tutto – dice l’ex segretario di Rifondazione comunista –  ha avuto origine da una lettera della Bce che sul Corriere della Sera l’editorialista Mario Monti ha commentato come un intervento del podestà forestiero che ha preso il potere». Cose che, dette da un ex compagno di partito del presidente Napolitano, appaiono difficili da digerire al Quirinale da dove è partita la regia che ha portato Monti alla presidenza del Consiglio. Bertinotti, però, non sembra stupito più di tanto, perché, sostiene, adesso «sulla questone sociale Napolitano dice cose indicibili». «Gli ho sentito dire  – sostiene – che la questione sociale è importante ma non può essere invocata per bloccare le riforme». Il presidente della Repubblica legge e puntualizza di non essersi mai pronunciato in quei termini.

Bce e lavoro
Altro che applausi, dunque. Ci si divide sulle cose fatte, ma ci si divide su quelle che ancora restano da fare. La riforma del mercato del lavoro, ad esempio. È in corso una trattativa tra governo e parti sociali che rischia di partorire un topolino. Per ora c’è un’intesa sui soli contratti di apprendistato. Ma i mercati si attendono molto di più e sia la Fornero che Monti annunciano che entro marzo la rivoluzione sarà pronta. Nei giorni scorsi il Wall Street Journal ha scritto che l’articolo 18 costa all’Italia più del debito pubblico e scoraggia gli investitori stranieri. Ieri la Bce ha sostenuto che «dovrebbero essere ridotte le rigidità del mercato e dovrebbe essere accresciuta la flessibilità salariale». Il che equivale alla possibilità di licenziare e a buste paga più leggere. Susanna Camusso sarà in grado di incassare una batosta di questo tipo?

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