Il giorno del ricordo ha otto anni ma c’è già voglia di dimenticare.

1 Feb 2012 20:56 - di

A otto anni dalla sua istituzione, la Giornata del ricordo già rischia di segnare il passo. Piccoli e grandi segnali palesano, infatti, il pericolo di un affievolimento della memoria condivisa delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
Il bilancio, in prossimità del 10 febbraio, è in chiaroscuro. Da una parte c’è la soddisfazione per la destra italiana di avere portato alla luce una pagina della storia censurata per oltre cinquant’anni: quelle foibe che furono teatro di omicidi di massa a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, principalmente per mano delle truppe jugoslave del regime comunista di Tito.
Una soddisfazione giustificata dal fatto che, fino al 1996, l’argomento a sinistra era tassativamente tabù. A sollevare la questione interna fu il segretario del Pds triestino, Stelio Spadaro in un dossier per l’epoca imbarazzante. Primo: «La tragedia delle foibe fu un insieme di azioni terroristico – militari e ritorsioni antifasciste, ma anche per eliminare gli oppositori della Jugoslavia e del suo regime». Secondo: «L’ideologia totalitaria comunista diede allora copertura e legittimazione». Terzo: «Si tratta di una delle tragedie più acute che l’Europa ha conosciuto in questo secolo». L’allora segretario del Pds, Pie Fassino, a quel punto, fu costretto ad ammettere: «La sinistra ha sbagliato a lungo, le ragioni dell’ideologia hanno prevalso sulla storia».
Tornando indietro nel tempo, sfilano nomi e protagonisti della storia nazionale, colpevoli di un silenzio durato più di mezzo secolo: a cominciare dall’allora premier Alcide De Gasperi, che tacque e negò gli eccidi e che, nel secondo dopoguerra, si rifiutò di sollevare un libero plebiscito nei territori dell’Istria e Dalmazia. Come pure non fu esente da colpe Palmiro Togliatti che con il suo Pci, in nome della realpolitik, ha coperto e assecondato la dittatura del maresciallo Tito. Tra i vari responsabili di quell’omertoso silenzio anche Mario Scelba che, nel 1954 in occasione della cerimonia che sanciva il ritorno di Trieste all’Italia scelse di tacere. Scrisse Franco Servello sul Meridiano d’Italia: «Nessuno ha avuto una parola per i numerosissimi profughi istriani presenti all’evento e ignorati dalla grande stampa. Mario Scelba ha avuto paura a parlare dell’Istria perché non voleva sentirsi accusare di fascismo. Egli merita il biasimo della nazione. Non possiamo sperare di combattere i comunisti con un capo del governo che non sa trovare nemmeno una parola dignitosa di protesta per le nostre terre cedute allo straniero. Egli ha paura di gridare: viva l’Istria italiana!».
Pavidità e stoltezza che, nel tempo, vennero imputate anche al governo italiano guidato da Aldo Moro allorché nel 1975 ratificò il Trattato di Osimo. Un documento che di fatto non fece altro che recepire il Memorandum del ’54, inserendo misure aggiuntive a svantaggio dell’Italia. Una scelta che dimostrò «una visione debole e di mancanza di senso della storia della classe politica di quegli anni», e «di sudditanza nei confronti del dittatore jugoslavo Tito» come spiegò proprio al nostro giornale lo storico Massimo de Leonardis.     
Ma rimane tuttora in corso una forte campagna negazionista, riduzionista, se non addirittura giustificazionista delle foibe. E la storia è segnata da piccoli passi avanti, come quello del 10 febbraio 2007: il presidente Giorgio Napolitano ricordò che il dramma del popolo giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Frasi che suscitarono l’ira del governo croato. È parso invece un passo indietro il discorso al parlamento di Zagabria formulato il 14 luglio dallo stesso Napolitano: «Alla tradizione di convivenza e mutuo rispetto, radicata in queste terre e su questo mare – ha detto il capo dello Stato – si sono sostituite opposte pretese, odiose sopraffazioni, fino agli eccidi e alle vendette. La seconda guerra mondiale ci ha lasciato pagine buie e dolorose». Pagine liquidate in modo assolutorio: «Questa tragica pagina della storia appartiene al passato: non al presente, non al futuro. E col passato della violenza e della guerra fascista, l’Italia ha chiuso i conti con la lotta di Liberazione, con il 25 aprile 1945, e dando vita alla Repubblica e alla Costituzione». Come a dire, tutti colpevoli nessun colpevole.
E di come venga stravolta la storia, lo ha raccontato, sempre su questo giornale, il 23 novembre scorso Mila Mihaijlovic raccontando del “campo di lavoro” delll’isola d’Arbe: «Gli ignari turisti non sanno che quello è il posto dove i militari italiani chiusero a forza i campi di sterminio ustascia croati e trovarono i resti di 793 cadaveri». Secondo la tradizione, quello è diventato invece il “lager” italiano. Non solo: con i fondi europei diventerà «un santuario storico, un luogo di commemorazione delle vittime dei campi di concentramento». Addossando tutte le colpe «ai fascisti italiani». E dei campi di sterminio croati «dove trovarono la morte svariate centinaia di serbi ed ebrei?». Come scrive la giornalista serba, «sono luoghi vicini ad Arbe, ma lontani dagli occhi della gente e ancora troppo lontani dalla coscienza dei croati».

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