Non dite che è un nuovo ’29: allora a uccidersi erano gli “squali” di Wall Street

3 Gen 2012 20:38 - di

Ieri il fratello dell’imprenditore catanese che si è tolto la vita a Capodanno ha smentito che sia stato un suicidio da crisi economica: «Contrariamente a quanto riportato da alcuni media – ha detto – la propria situazione economica, patrimoniale e finanziaria è ad oggi sana e trasparente e per nulla compromessa dalla pur nota congiuntura economica che, tuttavia, impone politiche gestionali finalizzate all’ottimizzazione dei costi». Dunque, Roberto Manganaro non avrebbe deciso di togliersi la vita per paura di dover licenziare i suoi dipendenti, ma per quella «depressione, aggravatasi negli ultimi mesi, che – ha spiegato il fratello – lo ha privato di una lucida considerazione della realtà che lo circondava».

Oltre un secolo di studi
Difficile dire se e quanto la condizione economica del Paese e il modo in cui viene raccontata abbiano inciso sulla percezione che Manganaro aveva della realtà. Certo è, però, che i suicidi da crisi non sono un fenomeno nuovo e che la drammatica sequenza di casi registrati in questi giorni in Italia restituisce loro una strettissima attualità. Il primo ad analizzare il rapporto tra contesto socio-economico e morti volontarie fu Émile Durkheim. Era la fine dell’Ottocento e da allora la scienza non ha più smesso di confermare l’esistenza di un legame.

Ma nel ’29 si suicidavo i finanzieri
Eppure, nell’ultima impennata, si riscontra comunque una novità: a suicidarsi non sono più i finanzieri o i grandi imprenditori, ma gli appartenenti a quel ceto medio che oggi è il più colpito dalla congiuntura. I casi che ora mettono l’Italia di fronte a tutta la sua debolezza parlano di piccoli o medi imprenditori, di pensionati, di contadini ed elettricisti, di persone che non hanno retto di fronte all’incertezza del futuro. Dunque, uno scenario profondamente diverso da quello della crisi del ’29, che pure viene così spesso paragonata all’attuale. Allora, in quel giovedì nero di fine ottobre, lo choc fu provocato dal suicidio di undici speculatori e brokers di grande peso a Wall Street. Ha scritto lo storico Marco Del Bufalo per la voce della Treccani sulla crisi del ’29: «I piccoli e medi risparmiatori furono i più colpiti e dovettero ricominciare da capo la loro lotta per la sopravvivenza». Ovvero, in qualche modo reagirono. Una conferma del fatto che allora furono i ceti alti a non reggere all’impatto del crack arriva anche dal sociologo Jean-Claude Chesnais, che nota come negli anni ’30 a suicidarsi furono soprattutto gli uomini all’apice della loro carriera.

Oggi a non reggere è il vicino di casa
Già con la crisi dei primi anni Settanta e Ottanta ci fu un cambiamento e i suicidi iniziarono a registrarsi con maggiore incidenza tra i giovani e le donne. Nella memoria collettiva, però, quella resta impressa comunque come una stagione di suicidi tra magnati e finanzieri. Il portato di questi tempi, invece, è la morte del cittadino qualunque, del vicino di casa. E forse non è un caso, visto che dal punto di vista delle politiche economiche e finanziarie è proprio il cittadino a pagare il prezzo più caro. Salvate le banche e puntellata la grande industria, il senso di inquietudine per il futuro oggi è tutto sulle spalle di persone come quelle che si sono tolte la vita in questi giorni: il pensionato di Bari, che temeva di non farcela a rimborsare 5mila euro all’Inps; l’elettricista di Robecco sul Naviglio, che non riusciva a far quadrare i conti tra lavoro diminuito e pagamenti che non arrivavano; l’agricoltore dell’Ascolano, che aveva paura di non poter affrontare l’anno appena iniziato; l’imprenditore di Trani, che probabilmente è stato schiacciato dal peso dell’usura.

Un fenomeno che attraversa l’Europa
Tutti, come l’imprenditore catanese, erano affetti da depressione e certamente la malattia ha avuto un ruolo nella loro decisione. Ma la cronaca degli ultimi cento anni e le analisi di oggi ribadiscono che liquidarli come corto circuiti isolati davvero non si può. Tanto più che il fenomeno non è solo italiano e che dal 2008 a oggi ha colpito diversi Paesi europei: dalla Francia, dove nel 2009 si registrò un’ondata di oltre venti suicidi fra gli impiegati di France Telecom, alla Grecia, che fino a tre anni fa era il Paese con il più basso tasso di suicidi in Europa e ora guida questa triste classifica. Anche in Italia le avvisaglie c’erano state tutte: nel 2009 i suicidi per motivi economici sono stati uno al giorno, il 5,6% in più rispetto all’anno precedente. E il rischio concreto, come dimostra la nuova ondata, è che quella non fosse che la punta di un iceberg.

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