Non c’è più il Cav e le toghe dicono sì alle riforme

26 Gen 2012 20:44 - di

Clima da festa della Liberazione, ieri, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nell’aula magna della Cassazione si è parlato sì dei molti problemi che ancora pesano sul sistema giustizia in Italia, ma l’argomento clou, quello che ha segnato maggiormente la giornata è stato, per dirla con il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, «il mutamento dell’atmosfera politica, istituzionale e culturale, che dirada le nubi che si erano addensate sul nostro impianto costituzionale». «Ci fa ben sperare – ha sottolineato Lupo – sul mantenimento del quadro istituzionale, fondato sui valori fondamentali della nostra Costituzione».

E ora la magistratura “ci sta”
È fin troppo evidente come il riferimento fosse al governo precedente. Negli anni passati, secondo Lupo, «la prevalente attenzione è stata dedicata, con la scusa di attuare un riequilibrio dei poteri, al malcelato intento di ridimensionare il controllo di legalità sull’esercizio di ogni potere, controllo affidato alla giurisdizione indipendente». Si tratta di una lettura sposata anche dall’Anm per la quale tra governo e magistratura c’è «un clima sicuramente diverso». «Al centro dell’attenzione – ha detto il presidente Luca Palamara – ora ci sono i problemi reali, temi su cui ci siamo sempre battuti, ma che finivano nel dimenticatoio». Dunque, tolto di mezzo il governo Berlusconi e avvertendo la possibilità di dettare la linea, le toghe sono pronte anche a fare la loro parte per le riforme, così come di fatto aveva già chiarito qualche giorno fa lo stesso Palamara. «Oggi è decisamente apprezzabile che la politica torni a parlare di quelle che a nostro avviso sono le priorità», aveva detto il presidente dell’Anm in un’intervista al Messaggero, in cui annunciava anche che «noi ci siamo e ci saremo, pronti a offrire il nostro contributo».

La gaffe della Severino
Questa «assoluta convergenza di idee» è stata accolta dal ministro della Giustizia Paola Severino come «un grandissimo incoraggiamento». «Vedere governo, magistrati e Csm insieme è qualcosa di nuovo», ha spiegato il Guardasigilli, incorrendo però in una gaffe. A fargliela notare sono stati Enrico Costa e Manlio Contento, rispettivamente capogruppo e membro del Pdl in commissione Giustizia alla Camera. «Saremmo lieti – hanno detto – se il ministro Severino chiarisse se la "grande convergenza con la magistratura" annunciata oggi, si riferisca anche ai giudizi politici espressi dall’Anm contro il centrodestra o ad alcune proposte come quella di abolire il secondo grado di giudizio. Perché in tal caso – hanno aggiunto – il governo potrebbe correre il rischio di perdere una convergenza fondamentale: quella con il Pdl».

Vietti prende le distanze
Non è nemmeno del tutto esatto, poi, parlare di piena «convergenza» del Csm. Il suo vicepresidente, Michele Vietti, ha sposato il merito delle questioni tecniche, ma su quelle politiche ha dato l’impressione di voler prendere una certa distanza: parlando del nuovo clima è sembrato più fotografarlo che esaltarlo. Inoltre, ha lanciato un richiamo piuttosto esplicito alla responsabilità delle toghe. «Il bilancio che si traccerà con l’inaugurazione dell’anno giudiziario sarà positivo perché certamente intorno alla giustizia il clima è migliorato, è più disteso, non ci sono più contrapposizioni pregiudiziali e quindi penso che qualcosa di buono si potrà costruire», ha detto nel corso del Gr3 Rai, prima dell’inizio della cerimonia. Poi, nel suo discorso alla Corte Suprema, ha chiarito cosa intendesse parlando di «contrapposizioni pregiudiziali». «Non possiamo più permetterci di concepire la giustizia solo come potere contrapposto agli altri», ha spiegato il vicepresidente del Csm, esprimendo anche lui la convinzione che la stagione delle contrapposizioni preconcette tra magistrati e politica sia «alle spalle». «E questo – ha aggiunto – ci consente di guardare con atteggiamento sgombro da animosità al compito, insieme difficile ed esaltante, di ammodernare il servizio giustizia nell’esclusivo interesse dei cittadini». Vietti, quindi, ha invitato i magistrati ad avere senso del limite, a non considerarsi investiti di missioni improprie e a non confondere indipendenza con «deriva anarchica». E, rivolgendo il suo monito, ha ripreso un discorso pronunciato tre anni fa dal capo dello Stato: Napolitano disse allora che proprio il principio dell’indipendenza della magistratura comporta da parte del magistrato senso del limite, ma anche scrupolo di riservatezza e cautela nel valutare gli elementi indiziari.

Per le toghe fiducia ai minimi storici
Quanto certi atteggiamenti abbiano nuociuto prima di tutto alla credibilità della stessa magistratura, ieri, lo ha evidenziato il rapporto Eurispes 2012. Il livello di fiducia da parte dei cittadini ha toccato il 36,8%, 17 punti in meno rispetto alla precedente rilevazione (53,9%). Si tratta del dato più basso registrato dopo il 38,6% del 2006. Secondo l’istituto di ricerca, i fattori che hanno influito su questo orientamento possono essere molteplici: il mal funzionamento della giustizia italiana; i processi infiniti; l’inadeguatezza delle leggi; l’imparzialità dei magistrati. Accanto ai nodi storici e mai risolti, nel corso del 2011 se ne sono sviluppati poi di nuovi e, per certi versi, più complessi. Quali? Per esempio proprio la tensione tra politica e magistratura, che «ha toccato lo scorso anno picchi rilevabili soltanto nel biennio 1992-1994». Un ruolo, inoltre, secondo l’Eurispes, lo hanno avuto anche le indagini che hanno coinvolto alcuni magistrati, gli scontri aperti tra alcune procure in ordine a importanti inchieste giudiziarie e, non ultimo, alcuni eclatanti casi di cronaca giudiziaria. Tutto questo, secondo l’istituto, «ha alimentato il senso di sfiducia nei confronti della magistratura».

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