Monti&Merkel, manca solo il fatidico “sì”

11 Gen 2012 20:44 - di

Suonano le trombe, Monti è a Berlino con Angela. Le agenzie di stampa e i quotidiani on line diffondono le notizie, passo dopo passo, respiro dopo respiro, con tono trionfalistico, all’insegna del quant’è bravo e quant’è bello il nuovo premier. «Monti convince la Merkel», riferisce l’Ansa. Il Repubblichiere della Sera fa la cronaca raccontando di una cancelliera tedesca quasi fulminata dal suo interlocutore, colpita dalla freccia di Cupido: «L’Italia ha fatto molto, ora tocca a tutti noi», scrive il Corriere citando la Merkel, mentre il quotidiano di Ezio Mauro mette in evidenza «il grande rispetto per le riforme dell’Italia», e gli «sforzi straordinari» fatti dal nostro Paese. Ma alla fine del colloquio, tanto fumo e poco arrosto. Ci viene finalmente riconosciuto il lavoro fatto, dopo che il governo tedesco ha taciuto sui successi raggiunti dal governo Berlusconi che, come ha dimostrato ieri l’Istat, nei primi nove mesi del 2011 ha prodotto la migliore performance dal 2008 sul debito pubblico. Monti, in sostanza, ha tagliato il traguardo dopo che altri, al timone dell’automobile, erano stati protagonisti per gran parte della gara, anche se la stessa Merkel e Sarkozy, in occasione dell’incontro con il Cavaliere, avevano risposto con sorrisi di sufficienza alle argomentazioni con cui l’ex premier spiegava la situazione italiana. Certo la manovra di Monti è servita a correggere ulteriormente la rotta, ma solo dopo che l’impazzimento dello spread (arrivato a 570 punti) e l’ulteriore rallentamento dell’economia avevano messo a rischio l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio a fine 2013. Ieri il premier italiano ha detto che non rappresentiamo più un’infezione per l’Europa. Ma, in realtà, non lo siamo mai stati, se non per i titoli della grande stampa e, a un certo punto, anche per il direttorio franco-tedesco, a cui Berlusconi aveva avuto il coraggio di rispondere picche quando gli era stato richiesto di azionare ulteriormente il nodo scorsoio dell’aumento della pressione fiscale e del taglio drastico alle pensioni degli italiani.

La vera partita
Adesso che Monti ha allineato i suoi comportamenti ai desiderata della coppia Merkel-Sarkozy, le caselle sono tornate al loro posto. I sorrisi si sprecano, ma le questioni di fondo restano quelle di prima: la vera partita si gioca sugli eurobond e sul ruolo della Bce. E su quel fronte non ci sono novità. Buio fitto anche sui programmi di sostegno alla congiuntura. Il premier ha perfino passato in rassegna un reparto militare germanico, ma sulle cose concrete è riuscito solo a strappare qualche generica promessa alla cancelliera, preoccupata dal fatto che il Pil tedesco ha iniziato a frenare e anche per Berlino si va paventando lo spettro della recessione. Il 20 gennaio è confermata la trilaterale a Roma tra Monti, Sarkozy e Merkel, è stata riconosciuta l’opportunità che il fondo salva-stati (Efsf) venga aumentato perché sia chiaro ai mercati che non c’è un rischio euro (ma la cancelliera si è detta disponibile solo se anche gli altri Paesi faranno altrettanto) e ha preso corpo l’affermazione solenne che «in futuro servirà più Europa e non meno Europa». Cose sicuramente importanti ma, per l’immediato, come ha precisato lo stesso Monti alla tv tedesca, «interessa più lo spread che lo stile». Come dire che tutti gli elogi che all’estero vengono fatti al suo governo passano in secondo piano di fronte a un gap tra il nostro Btp decennale e i Bund tedeschi che ieri si è mantenuto ancora intorno ai 520 punti. E questa è la cruda realtà.

La crescita che non c’è
Adesso dice il nostro premier alla cancelliera tedesca che fa orecchie da mercante «bisogna pensare a politiche per la crescita». Senza, infatti, si rischia di arrivare morti all’appuntamento con il pareggio di bilancio, perché il piano di rientro per i Paesi che con il debito sforano il 60 per cento del Pil (l’Italia e al 120) prevede, dopo il 2013, un abbattimento annuo del 20 per cento delle parte che eccede il livello massimo. Il che significa che se il prodotto interno lordo non cresce il Belpaese sarà costretto a manovre di 45 miliardi di euro l’anno. Troppo perché non ci siano conseguenze anche di carattere sociale. Il nodo del nuovo trattato di unione fiscale, di cui Monti nei prossimi giorni parlerà anche con il premier inglese David Cameron, sarà affrontato nel summit europeo del 30 gennaio e avrebbe dovuto entrare in funzione a partire da gennaio del 2013, previa ratifica di almeno 12 Paesi. Adesso, dopo il pressing sulla Merkel, si potrà contare su un anno in più prima dell’entrata in vigore dei nuovi parametri che dovrebbero diventare operativi solo dal 2014. Un mezzo successo per l’Italia, che sul fronte del debito è esposta direttamente, ma anche la constatazione che al momento non ci sono risposte alle sollecitazioni perché si tenga conto anche del risparmio privato e della sostenibilità delle pensioni che dopo la riforma Fornero sono sicuramente le più virtuose d’Europa. E la Tobin tax? «La posizione dell’Italia era negativa», ha detto Monti, ma dopo «aver dialogato con Francia e Germania il mio governo ha considerato la possibilità di avere una posizione più aperta». Ma l’obiettivo principale resta quello di avere «un’Europa forte e competitiva: puntiamo alla crescita». Pertanto ci vuole «un’azione forte dell’Europa per ridurre i tassi».

Successo a metà
Si può dire che l’obiettivo della vigilia del nostro presidente del Consiglio, di ammorbidire le posizioni di Berlino per evitare che l’Italia precipiti in una spirale di tipo greco, sia stato raggiunto solo a metà. O addirittura meno. Per la crescita economica si devono abbattere prima di tutto i tassi d’interesse e non sembra che le politiche finora sul tappeto convincano molto i mercati, mentre la Germania pare gioire delle disgrazie altrui. Certo Monti ha tempo ancora fino al 30 gennaio per ridurre la Merkel a più miti consigli, ma non sembra proprio che la cancelliera intenda dargli ascolto né sullo scorporo delle spese per investimenti pubblici, né sulla contabilizzazione del risparmio privato, né tanto meno sulla sostenibilità della spesa pensionistica. C’è l’emendamento all’articolo 4 della bozza di trattato che tiene in qualche modo conto dell’influenza del ciclo economico, ma è troppo poco per consentirci di dormire sonni tranquilli. «Non posso chiedere altri sacrifici agli italiani – aveva detto il premier  alla vigilia dell’incontro di Berlino – Ue e Germania cambino politica o in Italia scatterà la protesta anti-europea e anti-tedesca». Una franca presa d’atto. Ma con altrettanta franchezza si deve dire che di qual cambio di politica, almeno per ora, non c’è traccia.

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