Il problema del sovraffollamento si risolve nelle aule di giustizia

24 Gen 2012 20:39 - di

Ieri in pochi hanno registrato le parole dell’altro giorno del Guardasigilli Paola Severino: «Il carcere è una tortura più di quanto non sia la detenzione». Eppure si tratta di un’affermazione molto forte, pronunciata tra l’altro in un momento in cui il tema del sovraffollamento torna centrale nel dibattito politico. Ieri al Senato è ripresa la discussione sul decreto cosiddetto “svuota carceri”, firmato dalla stessa Severino, e il mondo delle guardie penitenziaria ha rivolto una «supplica alla politica», per usare l’espressione di Eugenio Sarno della Uil, «a fare presto e bene». Il Sappe, intanto, denunciava l’aggressione di un agente a Messina e di uno a Milano, ricordando altri episodi simili avvenuti nei giorni scorsi. Nel ricostruire i fatti, i sindacati hanno sottolineato la carenza di personale rispetto al numero di detenuti. Inoltre, già una settimana fa, quando ha svolto la sua relazione in Parlamento, la Severino ha trattato il sovraffollamento come uno dei temi più sensibili da affrontare. Prima di lei, anche Angelino Alfano vi si era soffermato con decisione, lanciando quel piano carceri che resta il primo intervento strutturale in agenda. Richiede però tempi lunghi, mentre l’emergenza è ora e non da ora. Per questo spuntano soluzioni alternative, più o meno condivise.

L’amnistia e il ruolo dei partiti
L’amnistia è una di queste. Il ministro ha già detto in più occasioni di non avere preclusioni. Ma, insieme, ha ripetuto che se ne devono far carico le Camere o, meglio, «i partiti». «Per poterla fare occorre l’accordo di tutti», ha spiegato. È evidente che il governo tecnico non vuole – e non può – assumersi la responsabilità di una misura del genere. A sostenerla ci sono soprattutto i Radicali, ma per farla passare serve una maggioranza qualificata e raggiungerla appare difficile. Lo stesso segretario del partito, Marco Staderini, ieri spiegava che «il problema sarà l’opposizione demagogica di Lega e Idv che sbandiereranno la messa in libertà di detenuti». Ma non c’è solo il problema propagandistico, per molti c’è anche che l’amnistia, pur essendo un provvedimento davvero “svuota carceri”, non ha nulla di strutturale: i suoi effetti sarebbero presto vanificati, con il rischio di una concreta diminuzione della sicurezza dei cittadini.

I detenuti tossicodipendenti
Un’altra ipotesi è l’intervento su alcune categorie di detenuti. Anche in questo caso in prima fila ci sono i Radicali, che si riferiscono in particolare ai detenuti tossicodipendenti e in carcere per reati connessi alla tossicodipendenza. «Sono intorno al 30%, ben al di sopra della media europea», spiega la deputata Rita Bernardini, prima firmataria di una proposta di legge in cui si chiede la previsione di istituti di custodia attenuata. In sostanza, si tratta di strutture di ricovero dove chi ha problemi di dipendenza possa essere curato. Il presupposto è che «queste persone sono malate», sottolinea la Bernardini, ricordando che Camera e Senato hanno approvato mozioni in questo senso, ma che poi «purtroppo non è stato fatto niente». Eppure, aggiunge, «sul territorio vi sono tante comunità o associazioni che potrebbero ospitare e seguire queste persone per le cure e la riabilitazione e – sottolinea – costerebbe molto meno di quanto costi la detenzione in carcere, dove al massimo ricevono il trattamento metadonico». Inoltre, «in carcere non si studia, non si lavora e non si fa niente e per una persona di quel tipo – dice la Bernardini – questo è devastante, infatti ogni tanto qualcuno si impicca o tenta di impiccarsi».

Agire a monte: nelle aule giudiziarie
Resta da considerare un altro punto di vista, riportando il problema dove ha inizio: nelle aule giudiziarie. È quello che cerca di fare lo “svuota carceri”, che prevede la cella solo come ultima ipotesi. La norma parte da un dato impressionante, riferito dal ministro nella sua relazione: il 42% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio. Anche questa proposta però è controversa e riguarda solo chi viene arrestato in flagranza. In moltissimi casi, invece, si finisce in carcere dopo le indagini, con buona pace del sovraffollamento e della presunzione di innocenza. «Oggi – spiega Manlio Contento, penalista e membro della commissione Giustizia della Camera –  c’è già una graduazione: la restrizione in carcere può essere decisa dal magistrato quando ogni altra misura risulti inutile. Ora – aggiunge – il problema vero è proprio questo, perché in diversi casi si mette in carcere la gente, poi la si rimette fuori e poi si fa il processo. Succede anche con i deputati…». In questo meccanismo ha un ruolo la discrezionalità del magistrato, perché basta che «tragga convincimento» che la detenzione in carcere sia necessaria. Per Contento uno degli elementi di «necessario intervento è la rivisitazione dei presupposti per la carcerazione, in modo da difendere di più il diritto alla libertà, che poi non vuol dire libertà assoluta. Nella stragrande maggioranza dei casi potrebbero starsene ai domiciliari, prevedendo il carcere per i reati associativi, per i quali serve l’isolamento, e per quelli che implicano l’uso delle armi o della violenza contro la persona». «Mi sembra – commenta il deputato del Pdl – che questo risolverebbe molto il problema».

La responsabilità civile dei magistrati
In questo ragionamento, però, rientra anche un altro elemento: la responsabilità civile dei magistrati. Contento fa riferimento alla relazione della Severino e ricorda che per ingiusta detenzione ed errori giudiziari lo Stato sborsa a 46 milioni di euro. «Nel corso del mio intervento – spiega – ho chiesto al ministro che ci facesse sapere, anche in relazione a questi importi, quanti procedimenti sono stati aperti nei confronti dei magistrati e quante sono state le eventuali condanne. Nessuno vuole impedire ai magistrati di fare il loro dovere, serve il dovuto equilibrio, ma se questo strumento fosse rafforzato con la legge sulla responsabilità civile probabilmente ci sarebbero meno detenzioni in carcere e più domiciliari».

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