Pensioni: se nel ’94 fosse passata la riforma del Cav…

26 Dic 2011 20:29 - di

Pensioni: per cambiarle non ci voleva la Fornero. Sarebbe bastato lasciare le mani libere al governo Berlusconi. Ma ogni volta che lui tentava di riformarle, si incendiava tutto. Incendi dolosi, naturalmente, perché ad appiccarli erano i partiti (non solo) di sinistra e i sindacati. A partire dal 1994 quando – di fronte a un testo che poneva le basi per migliorare tutto il sistema – fu proclamato lo sciopero generale e la Lega arrivò a togliere il sostegno all’esecutivo provocando la crisi di governo. Eppure nel tempo avversari politici come Romano Prodi e tecnici del calibro del compianto Paolo Sylos Labini o della professoressa Fiorella Kostoris Padoa Schioppa hanno sostenuto che la riforma posta in essere in quegli anni da Berlusconi era giusta, sia in termini di tempi che di contenuti. Probabilmente se il Cavaliere non fosse stato fermato, oggi i pensionati non avrebbero dovuto sottostare alla stangata della Fornero e i nostri conti pubblici sarebbero ben diversi: in sedici anni di vita, infatti, le norme allora introdotte, avrebbero consentito un risparmio di molti miliardi.

Riconoscimenti a Berlusconi
Sylos Labini, intervistato nel 1996 dal quotidiano L’Unità, commentava: «A Prodi stava bene quella di Berlusconi…. Mi costa travaglio spirituale confessarlo, ma quando il governo  Berlusconi mi presentò il suo schema di riforma delle pensioni dovetti convenire che era valido». Con Sylos Labini e Prodi a difendere quel progetto erano in molti: lo ricorda Mario Baldassarri in una dichiarazione al Corriere della sera pubblicata in un articolo del 15 ottobre 1996, quando al governo c’era il centrosinistra e a Palazzo Chigi il professore bolognese. Si arrivò addirittura a un manifesto di sostegno al progetto, firmato oltre che dallo stesso Baldasssarri, da Prodi e da Sylos Labini, anche dal premio Nobel Franco Modigliani e da Franco De Benedetti. Poi la riforma la fece il governo tecnico di Lamberto Dini, ma i parametri erano molto cambiati rispetto a quella che avevano messo in cantiere il Cavaliere nella veste di presidente del Consiglio e Clemente Mastella, ministro del Lavoro. Le pensioni si confermeranno anche successivamente come la bestia nera di Berlusconi che, nel 2004, con il leghista Roberto Maroni al ministero del Lavoro, introdusse il cosiddetto “scalone” poi abolito nel luglio del 2007 con il protocollo sul Welfare firmato tra il governo Prodi e i sindacati. E nel 2011, sempre il Cav, cercò senza successo di mettere mano alle pensioni di anzianità come gli chiedeva l’Europa.

Effetto finestre
Ma nonostante l’opposizione del centrosinistra e dei sindacati, Berlusconi qualche intervento in materia di previdenza è comunque riuscito a farlo. È il caso delle cosiddette finestre mobili o a scorrimento, introdotte nel 2010, che oggi producono risultati di tutto rispetto facendo risparmiare fin da subito alcuni miliardi. Dai dati Inps emerge che nel 2011 c’è stato un vero e proprio crollo delle pensioni erogate: nei primi 11 mesi dell’anno, infatti, sono state liquidate per vecchiaia 224.856 (età anagrafica di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne, che sono diventati 66 e 61 con l’introduzione della finestra mobile), in calo di  94.000 unità (-39,4 per cento) rispetto allo stesso periodo 2010. Per quelle di anzianità, invece, il calo si è fermato al 20,1 per cento, con gli assegni liquidati che, da gennaio a novembre, sono passate dai 163.507 del 2010 ai 130.640 di quest’anno. L’Inps commenta: il dato è stato possibile soprattutto grazie all’effetto finestre (12 mesi di attesa una volta raggiunti i requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per gli autonomi). Uno sbarramento che ha fatto sì che quest’anno siano riusciti a uscire dal lavoro solo coloro che hanno maturato il diritto entro il 2010, perché per chi ha raggiunto l’età nel 2001 è scattata la finestra mobile che ha rinviato tutto al 2012 quando saranno in vigore le regole introdotte dalla manovra Monti. Chi ha maturato i diritti quest’anno potrà pero esercitarli senza problemi. Il calo complessivo delle pensioni ha riguardato sia i lavoratori dipendenti (da 191.666 a 134.243, con un -29,6 per cento) sia gli autonomi (da 27.501 a 20.137 per i coltivatori diretti, da 53.416 a 38.107 per gli artigiani, da 46.362 a 32.369 per i commercianti). Se si guarda solo alle pensioni di anzianità, il calo è stato più consistente per gli autonomi che per i dipendenti. Nei primi 11 mesi del 2011, infatti, le nuove pensioni di anzianità liquidate dal fondo lavoratori dipendenti sono state 87.465, appena il 13,8 per cento in meno rispetto alle 101.558 dei primi 11 mesi del 2010. Proprio in virtù di questa anomalia l’attenzione del governo si era concentrata nella seconda parte dell’anno su questo tipo di pensioni la cui erogazione veniva segnalata dall’Inps in rallentamento, ma con una frenata inferiore agli altri trattamenti.

Transizione troppo lenta
Il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, prova a trarre qualche conclusione e  sottolinea che le riforme della previdenza messe in campo prima del decreto salva-Italia «hanno funzionato». Prima, però, «la transizione era troppo lenta». La dimostrazione? L’età media di uscita dal lavoro. È stata di 60,2 anni (62,7 anni per la vecchiaia e 58,7 per l’anzianità), in calo rispetto ai 60,4 del 2010 e ai 61,1 del 2009. «L’età media – sottolinea Mastrapasqua – si allungava troppo poco rispetto alla crescita dell’aspettativa di vita». «Negli altri Paesi europei – osserva il presidente Inps – si esce dal lavoro più tardi e con tassi di sostituzione molto più bassi. A fronte del nostro 80 per cento rispetto all’ultimo stipendio, in Germania chi va in pensione prende in media il 58,4 per cento dell’ultima retribuzione. Ora il sistema è stato messo in sicurezza». Nel 2011, infatti, il bilancio finanziario di competenza dell’Inps chiuderà in sostanziale pareggio, mentre le cose potrebbero andare meglio nel 2012 grazie alle novità del decreto salva-Italia sulle aliquote contributive degli autonomi, sul blocco delle indicizzazioni delle pensioni superiori a tre volte il minimo e sui contributi di solidarietà. Alla fine, il punto di arrivo è stato comunque raggiunto, ma oggi costa sacrifici molto maggiori rispetto a quanto avrebbe comportato una riforma approvata nel 1994 che ci avrebbe consentito di non avere problemi con l’Europa e di pagare oggi interessi molto inferiori sul fronte del finanziamento del debito, fatto per buona parte da esborsi per le pensioni. Si ha un bel dire, infatti, che la spesa per la previdenza è in equilibrio: l’anno scorso lo Stato è intervenuto con 70 miliardi di fondi aggiuntivi.

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