Non solo Lega, la gazzarra è tradizione…

15 Dic 2011 20:50 - di

Qualcuno inorridisce davanti al «vai a cagare pagliaccio!» urlato dal leghista Enrico Montani al presidente del Senato che tentava di placare la contestazione a Monti. Altri si indignano per le contestazioni che ha hanno portato all’espulsione dei deputati del Carroccio, Rainieri e Buonanno. E mentre il presidente della Camera si è beccato una dose di fischi e un «cialtrone», da Pini, anch’egli del Carroccio, i cronisti parlamentari più anziani invitano a sfogliare i resoconti ingialliti delle legislature passate prima di parlare di «proteste senza precedenti». Quella dei leghisti è roba da boy scout, da seminaristi in libera uscita rispetto alla storia della nostra Repubblica.

Palmiro e Alcide a muso duro
Ironia della storia, l’ostruzionismo, oggi praticato da Bossi e dai suoi, è stato inventato nella notte dei tempi proprio nella “Roma ladrona”. L’invenzione viene attribuita a Catone Uticense che parlò per un giorno intero al Senato romano, opponendosi alla nomina di Giulio Cesare. Nella storia recente, le radici così come le conosciamo in senso tecnico, vanno invece ricercate nei parlamenti anglosassoni. Negli Stati Uniti (1841) e alla Camera dei Comuni a Londra (1877). Rimanendo invece nei nostri confini, la prima battaglia ostruzionistica della Repubblica italiana è datata marzo 1949, allorché Pci e Psi si opposero all’ingresso nel Patto atlantico. E lo fecero con tutti i mezzi. Se pensate ai parlamentari di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni come a dei serafici gentiluomini che per protestare alzano il sopracciglio, siete parecchio fuori strada. Basti pensare che i resoconti stenografici riportano che a Montecitorio il 14 febbraio 1950 persino Togliatti e Alcide De Gasperi rischiarono di venire alle mani. Il segretario del Pci si alzò urlando «Vergogna!» e scese minaccioso le scale dell’emiciclo fermandosi a pochi centimetri dal presidente del Consiglio.

Gli insulti di Pertini
A questo proposito c’è un libro istruttivo di Sabino Labia Tumulti in aula. Il presidente sospende la seduta (editore Aliberti) che riporta gli oltre sessant’anni di risse. Leggendari i tumulti all’approvazione al Senato della cosiddetta “legge truffa” nel marzo del 1953: dopo 70 ore di seduta ci fu una rissa di 40 minuti che vide Sandro Pertini rivolgersi al presidente Meuccio Ruini con un «Lei non è un presidente, è una carogna! Un porco!». E ancora, sempre nella stessa seduta, il senatore Elio Spano (Pci) affrontò a muso duro il giovane sottosegretario Giulio Andreotti, che in quel momento aveva in testa il cestino della carta per proteggersi dagli oggetti che piovevano dai banchi della sinistra, urlandogli: «Dopo il voto avrete un nuovo piazzale Loreto!». Mischie furibonde da partite di rugby. Come quella del 9 maggio 1973, quando si discute in aula del «pericolo fascista». Il capogruppo comunista Alessandro Natta accusa la destra di voler speculare sul «nefando delitto di Primavalle». La scintilla è innescata, Il cronista de La Stampa riporta: «In un passo si passa dalle ingiurie ai fatti. Gruppi di deputati sono scesi per affrontarsi nell’emiciclo. Tra i comunisti i più animosi erano D’Alema (il padre di Massimo ndr), Accreman, Pochetti e Coscia mentre tra i più pronti fra i missini c’erano Delfino, Nicosia, Manco e Grilli». Per capire il livello della rissa, «qualcuno ha brandito minacciosamente le sedie dei funzionari», tanto che «c’è stato uno scambio rapido e duro di pugni e calci. Si sono visti rotolare a terra deputati e commessi». Legislatura che vai, gazzarra che trovi. Nel 1984, il senatore comunista Carmeno si scagliò contro il socialista De Michelis per sottrargli un pacco di emendamenti. Impresa riuscita, ma nella foga rotolò per l’emiciclo slogandosi una caviglia. Ai confini della cronaca di boxe la bagarre del 1998, con un accenno di rissa tra Alberto Acierno del partito dei Mastellian-cossighiani passati con il centrosinistra e Giorgio Stracquadanio, non ancora deputato Pdl, all’epoca assistente della deputata forzista Tiziana Maiolo.

Le lacrime di Cusumano
Nel passato più recente si ricordano diverse sedute agitate. Passò alla storia quella della lunga sera del 24 gennaio 2008, in occasione della caduta del governo Prodi. Prima che si votasse la fiducia, il senatore dell’ Udeur Nuccio Cusumano aveva annunciato che non avrebbe seguito la decisione del suo leader Clemente Mastella di «staccare la spina» all’esecutivo di centrosinistra. Al termine del suo intervento, il capogruppo dell’Udeur Tommaso Barbato si avventò contro di lui al grido di «pezzo di merda», accompagnando l’insulto con un plateale sputo in faccia. Cusumano pianse e si accasciò svenuto al suo posto, mentre intorno montava il caos. L’allora presidente del Senato Franco Marini sospese la seduta. Uno spettacolo che fu il preludio della scena clou: al momento della lettura dei voti, che sancivano la caduta di Prodi, il senatore di An Nino Strano stappò insieme al collega Domenico Gramazio una bottiglia di spumante e si infilò in bocca, con gesto studiato, una intera fetta di mortadella, che mangiò lentamente, finendo sui blog di mezzo mondo. Il senatore, in seguito, si pentì di queste intemperanze e oggi fa parte del gruppo finiano. E ancora il 28 giugno del 2006, in occasione di uno dei tanti voti di fiducia chiesti dal governo Prodi il senatore Malan scagliò il volume del regolamento del Senato contro l’allora presidente Franco Marini. Anche in questa legislatura i momenti di tensione non sono mancati: tutte le volte che la Camera alta si è occupata di provvedimenti considerati «ad personam», il clima si è surriscaldato. L’11 giugno 2010 furono i dipietristi a infiammare l’aula che approvava il ddl sulle intercettazioni, bollato come «legge bavaglio». L’emiciclo era stato occupato l’intera notte dai senatori dell’Idv avvolti nelle bandiere tricolori: il giorno del voto furono «sgombrati» dai commessi.
Ci saranno altri tumulti prima della fine della legislatura? Facile prevederlo. Chi cerca un’aula parlamentare silenziosa come una biblioteca deve trasferirsi ad altre latitudini: tipo Cuba e Corea del Nord. Che piaccia o meno, l’insulto e la bagarre sono inclusi nel prezzo della democrazia.

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