La sentinella civile? Si trova a Hollywood

15 Nov 2011 20:30 - di

In principio fu Frank Capra con Mister Smith va a Washington, commedia del 1939 che esaltava il giovane senatore Jefferson Smith (James Stewart) alle prese con i poteri forti dell’epoca. L’eroe onesto e incorruttibile contro un gruppo di finanzieri e politicanti che cercano di costruire una diga laddove il protagonista vorrebbe far sorgere un campo per boy scout. Plot edificante del solo contro tutti, nello stile di Capra, con inevitabile lieto fine, provocato dalla improvvisa redenzione del cattivo di turno, tanto repentina quanto inverosimile. Svolta narrativa che gli esegeti del regista de La vita è meravigliosa hanno decifrato in chiave pessimista. Come se lo stesso cineasta avesse voluto far intendere, sotto traccia, che nella realtà della politica i boy scout non vincono mai.
Occorre un tuffo nel passato di oltre sett’antanni per ricordarsi che Hollywood è sempre stata una sentinella civile. Come a ricordare ai cittadini di stare sempre con gli occhi bene aperti coltivando dubbi e sospetti. Così che persino Capra può essere letto come un guardiano delle coscienze che, al di là del lieto fine, invita a non abbassare la guardia.

Le teorie sul delitto Kennedy
Nella storia recente del cinema a stelle e strisce sono altri i paladini della dietrologia, della ricerca del complotto, dell’invito a non fidarsi di tutto quello che piomba dai palazzi del potere economico, finanziario e politico. Al festival del cinema di Taormina del giugno scorso Oliver Stone, provocatoriamente, ha detto che «negli America è impossibile girare film politici». È una mezza bugia. Difficile non definire politico un film come Jfk, imperniato sulla demolizione data dalla commissione Warren sull’omicidio del presidente Kennedy a Dallas. È sulla figura diffidente Jim Garrison (Kevin Costner) che Stone fa immedisimare lo spettatore. Una sceneggiatura che cerca di dimostrare (con molte suggestioni ben riuscite) che il delitto fu il frutto di una cospirazione. «Quando uscì – ha ricordato il cineasta – fu uno choc, era un’accusa al potere, che aveva cancellato la strada della coesistenza pacifica che Kennedy stava percorrendo. Per fare un film politico da noi bisogna scrivere un dramma alla Hitchcock con un pizzico di Marx». Come pure il Nixon in chiave shakespeariana o la figura di Bush junior, sono ritratti che sgretolano le certezze ufficiali e lasciano interrogativi tra il pubblico. Da Stone ai documentari di Michael Moore il filo rosso rimane il dubbio nei confronti del potere. Emblematico Fahrenheit 9/11 , film-documentario del 2004 sui legami segreti tra la famiglia Bush e quella Osama Bin Laden, tessendo una rete di illazioni e di ragionamenti sugli attentati dell’11 settembre 2001. Improntando il tutto sulle successive campagne belliche in Afghanistan e in Iraq. Molta retorica, molto fumo negli occhi, che sollecitano però anche molte domande.

Redford come Assange
Ma sono gli anni Settanta a costituire un punto di riferimento per alcune pietre miliari della cinematografia imperniata sul concetto che nessuna verità è attendibile. Quasi profetico I tre giorni del Condor, diretto da Sidney Pollack, dove Robert Redford è un impiegato della Cia che si trova al centro di un complotto che vede protagonisti gli stessi servizi segreti americani. Il finale, con Redford che spedisce il dossier con “i panni sporchi” della Cia al New York Times ricorda per certi versi la scelta di Assange di fornire ai giornali i file segreti di Wikileaks.
A proposito di visioni profetiche, la serie tv 24 ha anticipato la candidatura di un senatore nero alla presidenza degli Stati Uniti, qualche anno prima che Barack Obama venisse preso in considerazione. Anche in quel caso servizi segreti buoni, con Jack Bauer, diventato una specie di 007 dei serial tv, che l’attore Kiefer Sutherland fatica ormai a scrollarsi di dosso e servizi deviati e pericolosi. A proposito di profezie, la tv è andata oltre, immaginando Una donna alla Casa Bianca nella serie prodotta dalla Abc e interpretata da Geena Davis.

Mai fidarsi del potere
Hollywood quando non ha preconizzato il futuro ha raccontato gli scandali più spinosi della politica. Tutti gli uomini del presidente, dedicato allo scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Richard Nixon, è un’altra pellicola cult del genere. Sulle teorie di cospirazione hanno fatto fortuna autori e romanzieri, da John Grisham a David Baldacci. Quest’ultimo, con il romanzo Potere assoluto – da cui il film del 1997 con Clint Eastwood – ha infranto un tabù sul presidente degli Stati Uniti. In questo thriller, per la prima volta l’inquilino della Casa Bianca (Gene Hackman) è il “cattivo”. Un individuo sordido che provoca accidentalmente la morte della sua amante. I servizi segreti metteranno tutto a tacere (e non con le buone). Dietro la semplificazione della trama noir, tra le righe la denuncia contro il potere “senza se e senza ma”.
Dal thriller alla commedia, il passaggio è dissimile solo nella forma. Sesso e potere di Barry Levinson, esilarante pellicola con Dustin Hoffman e Robert De Niro esaspera la logica della guerra mediatica. Simula una guerra dichiarata all’Albania, interamente girata negli studios di Hollywood, con tanto di finti reduci e finte ragazze albanesi sotto i bombardamenti. Una guerra inventata a tavolino per coprire lo scandalo sessuale che alla vigilia delle elezioni coinvolge il presidente. Ogni riferimento a Bill Clinton non è puramente casuale. Ma il finale amaro riporta lo spettatore allo stesso tema di pellicole come Ipotesi di complotto con Mel Gibson e Julia Roberts. Fidarsi è bene, ma diffidare è meglio.

Da Cruise a Clooney
L’incarnazione del potere senza scrupoli è incarnato dal senatore guerrafondaio (Tom Cruise) di Leoni per agnelli  di Robert Redford. Uscito in America nel 2007, in piena era Bush, racconta le diverse sfaccettature della politica, usata solo per i propri interessi, anche se tecnicamente il protagonista, intervistato da una giornalista niente affatto accomodante (Meryl Streep), non commette nulla di illecito. La morale è ben spiegata in Idi di marzo (2011) dall’addetto stampa (Ryan Gosling) del disinvolto politico democratico (George Clooney): «Se vuoi avere il sostegno della gente puoi mandare in bancarotta il Paese, puoi scatenare una guerra, puoi imbrogliare tutti quanti, ma non puoi portarti a letto una stagista». Non è Machiavelli aggiornato al terzo millennio, è Hollywood.

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