A piazza Tahrir decine di morti. «Via i militari»

21 Nov 2011 20:03 - di

Piazza Tahrir al Cairo si è nuovamente riempita di manifestanti ieri, dopo gli scontri ininterrotti di sabato e domenica, con i tentativi della polizia di disperdere la folla, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma, ma anche proiettili veri, a quanto pare. È giallo sul numero delle vittime. L’ultimo bilancio ufficiale, ossia del governo, parla di 22 morti e 425 feriti, a fronte di bilanci ufficiosi di fonte medica che parlano di 40 morti e 1.750 feriti dall’inizio degli incidenti, sabato pomeriggio. La maggior parte delle vittime degli scontri è stata uccisa con colpi d’arma da fuoco. A dichiararlo è stato il sottosegretario alla Sanità Hesham Shiha, ai microfoni di “al Jazira”.
Nelle prime ore della mattina era stato annunciato un accordo per una tregua, raggiunto con la polizia dall’imam della grande moschea di Omar Makram (dietro piazza Tahrir), sulla base della riconsegna di un ufficiale e quattro agenti di polizia presi in ostaggio domenica sera dai manifestanti. Tuttavia poco dopo l’avvenuta riconsegna, la polizia è nuovamente intervenuta pesantemente per sgomberare parte della piazza, dove è stata nuovamente installata una tenda dai manifestanti.
In un’improvvisata conferenza stampa in piazza Tahrir il generale Said Abbas, assistente del comandante militare della regione, ha voluto rassicurare che il sit in è un diritto garantito, a condizione che non venga danneggiato l’interesse pubblico. L’ufficiale ha anche affermato che si deve proteggere la zona dei ministeri, specie quello dell’Interno. Carri armati sono stati schierati a protezione della zona dei ministeri per bloccare via Mohamed Mahmoud, strada laterale parallela all’edificio dell’Università americana. Sulla stessa strada, adiacente al lato sudorientale di piazza Tahrir, i manifestanti hanno issato barricate con lastre metalliche e dato fuoco a pneumatici. Arresto e rilascio ieri anche per la candidata presidenziale Butaina Kamel, vicina ai Fratelli musulmani, mentre era con manifestanti diretti al ministero dell’Interno. A quanto si è saputo, l’esponente politica ha preteso che fossero rilasciati anche tutti i manifestanti che la polizia aveva fermato con lei. Intanto il Consiglio supremo delle Forze armate, che gestisce la presidenza della Repubblica egiziana, ha sollecitato un’indagine sugli scontri di piazza Tahrir, esprimendo rincrescimento per «la degenerazione della situazione e per gli incidenti».
E non è ancora finita: oggi sono state chiamate milioni di persone a piazza Tahrir. È l’appello di 35 partiti e movimenti egiziani. L’inizio della manifestazione è previsto per oggi alle 16. «Alla luce della crisi attuale, il ricorso all’uso della forza da parte della polizia indica che il Consiglio supremo delle Forze armate (al potere da febbraio, dalle dimissioni di Mubarak, ndr) è alla guida del movimento contro la rivoluzione in Egitto e che ha fallito in questa fase di transizione», si legge in una nota diffusa dai 35 partiti e movimenti dopo una riunione nella sede del Cairo del sindacato dei giornalisti. Il movimento, in particolare, vuole che il Consiglio supremo, organismo alla fine transitorio, non promilghi la Costituzione prima delle elezioni, ma che dal parlamento eletto scaturisca una costituente che elabori la Carta costituzionale. Su questo per ora non c’è accordo.
Il segno della seconda giornata consecutiva di manifestazioni nella piazza storica delle proteste dei giovani cairoti che in 18 giorni di gennaio riuscirono a ottenere le dimissioni e la fine del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak è molto controverso. Specie se unito alla riaffermazione energica del governo di Essam Sharaf, sostenuto dal Consiglio supremo, di voler rimanere al proprio posto e far svolgere le elezioni legislative alla data prevista (il 28 novembre). A fronte di questa posizione, ripetute sono le richieste di varie organizzazioni politiche, giovanili e non, per le dimissioni immediate dell’esecutivo in carica e la nomina di un governo di salute nazionale che rilevi subito il potere attualmente gestito dai militari. Il segnale della piazza, che sembra pronta a ripetere le gesta dei 18 giorni dell’inizio dell’anno, è stato recepito in apparenza solo dal ministro della Cultura, Emad Abou Ghazi: si è dimesso per protesta contro l’eccesso di forza impiegata dalla polizia, mentre continuava a salire il bilancio di morti e feriti, e si è anche rifiutato di partecipare alla riunione congiunta di emergenza del suo governo con il Consiglio militare.
Il candidato alla presidenza dell’Egitto Mohamed ElBaradei ha contestato le misure usate dall’esercito egiziano contro i manifestanti riuniti a Piazza Tahrir per chiedere la transizione dei poteri dal Consiglio supremo a un governo di civili. «Il primo responsabile di questa situazione è il Consiglio supremo, che ha ammesso che non può governare il Paese», ha detto l’ex numero uno dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica. Il Consiglio continua a ignorare alcune delle richieste principali della rivoluzione, come la fine dei processi militari per i civili e la cancellazione della Legge d’emergenza, ma anche la domanda di un welfare sociale e di sicurezza pubblica, ha detto ElBaradei. Non molto, ha aggiunto il candidato alle presidenziali, è cambiato dalla rivoluzione del 25 gennaio e in molti casi il Consiglio supremo ha semplicemente assunto il ruolo del deposto presidente Mubarak», ha detto.
Gli fa eco Amr Moussa, candidato favorito alle presidenziali in Egitto, secondo il quale «la situazione non si stabilizzerà finché non ci sarà un presidente, un parlamento e una nuova costituzione». Il suo programma prevede di «ridisegnare il sistema della governance delle amministrazioni locali e anche la riorganizzazione dei distretti regionali», perché «la democrazia deve venire dal basso – afferma – con consigli comunali e sindaci eletti, le assemblee regionali e i governatori». «Questa atomizzazione apre tre strade i giovani non devono aspettare di avere 25 anni per essere eletti come per il parlamento ma non eleggibili a 21 anni. Le donne possono essere elette e si forma una nuova classe politica». Inoltre, secondo Moussa, «il problema della corruzione è grave perché è entrato a far parte di un sistema legalizzato». «La mia previsione – conclude – è che tutti i Paesi arabi subiranno una trasformazione. E anche l’Iran non rimarra com’è».

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