«Se non si tiene la piazza, meglio non andarci…»

18 Ott 2011 20:17 - di

«All’indignazione di solito non segue il sol dell’avvenire, ma la reazione», scriveva domenica a caldo Aldo Cazzullo nell’editoriale “Condannare subito senza sconti”. A tre giorni dall’inferno romano si rincorrono denunce sdegnate, prese di distanza, ricette più o meno percorribili, letture sociologiche e antropologiche sulla violenza inaudita che ha messo a ferro e fuoco la capitale. Per il giornalista e scrittore si è trattato di un «disastro, doloroso per le forze dell’ordine, controproducente per i promotori».

Ti convince questa lettura dei black bloc come marziani che si materializzano improvvisamente, che nessuno sa chi sono, che nessuno conosce?

Intanto voglio dire che credo alla buona fede degli organizzatori, anche perché sono stati i primi a pagare caro il prezzo del fallimento della manifestazione. Però dico se non si è in grado di tenere la piazza, di isolare i violenti, di tenere a freno i teppisti, allora in piazza è meglio non andare. Tanto meno in un luogo simbolico come San Giovanni.

Quindi è una questione logistico-organizzativa. C’è stato un deficit nella regia del movimento, che poi, come per Genova, si straccia le vesti e si dichiara distinto e distante…

Anche di carattere politico, nelle manifestazioni l’aspetto logistico è anche politico. O la piazza si tiene o non ci si va. Certo gli organizzatori potrebbero rispondere che non è affar loro, “per questo c’è la polizia…”; ma se le forze dell’ordine si schierano davanti ai violenti questo evoca naturalmente lo scontro…

Basta farsi un giro per la rete per scoprire la galassia di questi estremisti: antagonisti, antifascisti, centri sociali, no tav, popolo viola. Alzetta, leader di Action, proprio al “Corriere”, ha detto testualmente «gli incappucciati di sabato sono i nostri figli, i nostri fratelli minori…»

Non provengono da un unico ambiente, molti vengono dall’estero, dai centri sociali più duri, dall’antagonismo di sinistra, dal tifo organizzato. I violenti che hanno rischiato di bruciare vivi i carabinieri, che hanno mandato in ospedale almeno cento agenti, che hanno distrutto una statua della Madonna, hanno storie e provenienze diverse. Non è facile individuare un’unica centrale. Sicuramente serve uno sforzo maggiore delle forze dell’ordine, ma anche dei manifestanti pacifici, non soltanto per isolarli, come hanno cercato di fare, ma per individuarli.

Come sta succedendo a Londra?

Lì la società civile non solo ha condannato i violenti, ne ha fornito le immagini, ha consentito di identificarli e di punirli. Lo stesso dovrebbe accadere in Italia. La storia non si ripete mai una seconda volta, non voglio dire che c’è il rischio di un ritorno agli anni ’70, però il nostro paese ha già conosciuto stagioni di violenza e di opposti estremismi.

Le rivendicazioni degli arrabbiati sono sincere o prese nel mucchio e dettate dall’agenda politica internazionale: oggi un G8, domani una missione internazionale, una Tav, una riforma dell’istruzione?

A questi signori della crisi economica, del futuro, di Wall Street, della piattaforma degli indignados non frega assolutamente nulla, usano i cortei per un bisogno primordiale di violenza, per spirito nichilistico.

Anche stavolta si è lasciato il cerino in mano alle forze dell’ordine: quattro ore di guerriglia urbana, sono state troppo accondiscendenti?

Accusare la polizia di impreparazione è ridicolo. Dopo Genova la polizia ha sempre avuto l’ordine di non raccogliere le provocazioni ed evitare finché possibile gli scontri.

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