«La risatina di scherno? Siamo stati fraintesi»

24 Ott 2011 20:17 - di

Alla fine sono arrivate le scuse della Merkel e di Sarkozy. Quei sorrisetti in conferenza stampa – che hanno fatto gongolare la sinistra italiana – sono stati un equivoco. Ma la frittata era giù fatta, con i link che giravano sul web, l’opposizione che parlava di «vergogna», il solito rito della richiesta di dimissioni, le pagine dei quotidiani che non parlavano d’altro e la maggioranza che reagiva con un «da che pulpito viene la predica», raccontando il pessimo stato di salute in cui versano il governo francese e quello tedesco. Il punto cruciale non è stato rilevato quasi da nessuno: il direttorio franco-tedesco – sotto accusa per i molti rinvii e responsabile diretto dello stato di difficoltà in cui versa oggi la Grecia – adesso tende a fare del nostro Paese una sorta di capro espiatorio per giustificare i fallimenti in serie che hanno costretto i tedeschi a chiedere il rinvio del finale di partita, previsto per domenica scorsa e che invece, nella migliore delle ipotesi, è slittato a domani con un vertice supplementare. Siamo perciò al fallimento dell’Ue e non dell’Italia, della Grecia o della Spagna. Del resto, lo scorso venerdì, è stato lo stesso presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, a dire che l’Europa (e non l’Italia o altri) sta dando di sé un’immagine «disastrosa». Immagine che ha il tratto più appariscente nelle divisioni tra Francia e Germania a proposito del potenziamento del fondo salva-stati, con Parigi che ne vorrebbe fare una sorta di banca, in grado di finanziarsi direttamente alla fonte della Bce, e Berlino che invece vorrebbe assomigliasse molto più a un’assicurazione.

Francia a rischio
Non basteranno tre soli giorni (da domenica a domani) per trovare una sintesi. Ma questo non dovrebbe preoccupare più di tanto, perché, ripercussioni sui mercati a parte, c’è tempo fino al G20 di Cannes del 3 e 4 novembre per giocare la partita in zona Cesarini. A quel punto, infatti, l’Europa dovrà presentarsi al tavolo con Stati Uniti, Cina, India e Brasile prospettando una soluzione concreta, pena la dissoluzione dell’euro. E su questo scenario che si innesta l’elastico tra Sarkozy e la Merkel, in difficoltà nei loro rispettivi Paesi. Il primo vede il suo consenso ridotto al minimo, mentre la “Cancelliera” perde puntualmente ogni appuntamento elettorale e cerca di prenderci le misure, perché rappresentiamo il primo competitore della Germania, a livello europeo, sul fronte delle esportazioni. Problemi di carattere politico del presidente dei francesi a cui si uniscono questioni di carattere più pratico. Ieri lo spread tra i titoli francesi e quelli tedeschi si è ampliato ulteriormente, mentre Standard & Poor’s e Moody’s hanno già alzato le antenne, mettendo sotto osservazione Parigi che rischia il declassamento. A ottobre, tra l’altro, l’economia dei nostri cugini d’Oltralpe è diventata a rischio recessione, con l’indicatore manifatturiero (Pmi) crollato ai minimi degli ultimi 29 mesi (a 46 punti dai 51,5 di settembre). E le banche fanno il resto. Il sistema è con l’acqua alla gola, profondamente indebitato ed esposto anche con la Grecia tanto che, secondo gli operatori, sarebbero oggi necessari non meno di 100 miliardi di euro per ricapitalizzarle.

La ricetta italiana
Sono questi i maestri che pretendono di darci lezioni. E la sinistra di casa nostra, pur di scagliarsi contro Berlusconi, finisce per tifare per loro che, tra l’altro, sono di centrodestra e quindi da considerare mille miglia lontano dalle’opposizione. L’orgoglio nazionale immolato sull’altare dell’egoismo ideologico e di partito, senza tenere conto che la contrapposizione con la Francia nasce anche dal mancato acquisto di Alitalia da parte di Air France e dalla legge anti-scalata, voluta da Giulio Tremonti per tutelare Edison dalle mire della francese Edf. In entrambi i casi si è preferita la soluzione nazionale a quella italo-francese, ma non si può pretendere che Sarkozy non se ne sia ricordato quando ha dovuto ingoiare l’altro boccone amaro costituito dalle mancate dimissioni di Lorenzo Bini Smaghi dal Comitato esecutivo della Bce per lasciare il posto a un francese.
Che cosa ci chiede il direttorio franco-tedesco e che cosa ci sollecita Bruxelles? Le nuove pensioni, le privatizzazioni, la lotta all’evasione fiscale (è già pronto l’aggiornamento del redditometro), il taglio agli stipendi dei lavoratori pubblici, oltre alle questioni del lavoro e della giustizia. Riforme di lungo periodo, queste ultime, indirizzate a ridurre il gap di competitività dell’economia produttiva italiana nei confronti dei partner esteri. Rispetto alla lettera della Bce nulla di nuovo. E poche novità ci sono anche se si tiene conto di quanto Berlusconi va annunciando da una quindicina d’anni a questa parte. Certo non si è mai parlato di tagli alle buste paga dei pubblici dipendenti, ma di tutto il resto sì. Se il Cavaliere non ha realizzato questi intendimenti non è stato certo per colpa sua: gli è stato sistematicamente impedito, per ultimo dalla Lega, che non vuole sentire parlare di tagli alla previdenza, ma in precedenza da altri compagni di cordata al momento allocati sul fronte dell’opposizione. La spinta dell’Europa, quindi, potrebbe addirittura essere la benvenuta, perché potrebbe consentire di effettuare sotto l’imperativo dell’emergenza, cose che, in caso contrario, sarebbero di difficile realizzazione.

Fiducia nel Belpaese
Quella di ieri è stata per Berlusconi una giornata di febrili consultazioni: ha visto il presidente Napolitano (anche il Pd è stato chiamato al Quirinale), ha incontrato Tremonti, ha sondato Alfano, quindi si è presentato all’appuntamento con la Lega che di pensioni finora non ha voluto nemmeno parlare. Il tutto mentre Bruxelles smentiva un fondo salva-stati specifico per l’Italia e dalla Germania, dopo le speculazioni della mattinata sul sorrisetto scambiato tra Sarkozy e la Merkel durante la conferenza stampa di domenica, veniva puntualizzato che i tedeschi hanno fiducia sulle capacità di gestire la crisi da parte dell’Italia che resta uno dei primi partner. Quello tra Sarkozy, Merkel e Berlusconi, si precisava, è «un dialogo tra amici». Le allusioni italiane? Solo un «equivoco». «Il video della conferenza – è stato fatto notare –  mostra chiaramente che Merkel e Sarkozy, di fronte alla domanda, si sono scambiati un sorriso sull’incertezza generata da chi dovesse rispondere» e non da altro. «Francia e Germania considerano l’Italia un Paese economicamente molto forte, un importante membro della Ue e uno dei nostri partner più stretti». Il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, ha preso carta e penna mettendo nero su bianco la constatazione che «l’Italia ha prestazioni economiche molto alte, ma ha anche un alto debito». Senza quest’ultimo, infatti, gli italiani non avrebbero problemi: le loro banche sono meglio capitalizzate rispetto a quelle tedesche e francesi, il bilancio è l’unico in Europa a registrare un avanzo primario, il risparmio privato è alto, il sistema pensionistico ha una buona sostenibilità.

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