Gli indignados? molto meglio i descamisados

18 Ott 2011 20:16 - di

Per trovare riferimenti politici e culturali migliori “der Pelliccia” e compagnia brutta, francamente, basta poco. Desta impressione, tuttavia, il fatto che in altri paesi – che pure conoscono bene le amorevoli cure dell’usura bancaria internazionale – la lotta ai responsabili della crisi non passi attraverso lo stantio immaginario anarcoinsurrezionalista, veterosindacalista, paleomarxista, trogloantifascista. È di questi giorni, infatti, la notizia che l’Argentina sta vivendo una vera e propria Peròn-mania. Cosa che di questi tempi fa riflettere: discamisados vs indignados? Perché no, in fondo non fa mai male togliere il monopolio della ribellione ai ribelli più conformisti e inutili che la storia ricordi.

Il giovane ufficiale
Ma prima facciamo un passo indietro: era il 1945 quando un giovane militare del Grupo Oficiales Unidos viene arrestato per dissensi con il resto della giunta allora al governo in Argentina. Passa poco tempo e l’ufficiale viene rilasciato in seguito a una vivace manifestazione popolare in suo favore. Quel giorno, dalle parti di Buenos Aires, pare faccia molto caldo. Sta di fatto gli oratori finiscono per mettersi in libertà, togliendo giacche e cravatte, contravvenendo alla norma di indossare sempre la giacca in strada. Qualcuno, tra la folla dei lavoratori in attesa del leader, toglie anche la camicia: sono nati i descamisados. Il militare appena liberato, ovviamente, è Juan Domingo Peròn. Il tipo è interessante: di probabili origini italiane, alla fine degli anni ’30 presta servizio in Italia come osservatore militare, frequentando la Scuola Centrale di Alpinismo di Aosta. Con la costruzione statuale mussoliniana è un colpo di fulmine. Le leggi sociali del fascismo, soprattutto, destano in lui un grande effetto.

Il “terçerismo”
Non è un caso che nel 1946, mentre il mondo è diviso in due e ogni eresia è vista di cattivo occhio, Peròn se ne esce con uno slogan che è tutto un programma: “Ni capitalismo ni socialismo, tercera via”. Sulla sua politica sociale influisce anche la verve populista di sua moglie, Maria Eva Duarte de Peròn, per tutti semplicemente Evita, la “madama dei descamisados”. Da quell’anno sarà ininterrottamente presidente dell’Argentina fino al 1955, quando sarà rovesciato da un golpe militare. In esilio a Madrid, il 7 novembre 1968 concede un’intervista al leader nazionalrivoluzionario belga Jean Thiriart. Il colloquio verrà presentato ai lettori su La Nation Européenne del febbraio 1969. Qui l’ex presidente rivelerà la sua costante attenzione nei confronti degli ambienti non conformisti di ogni parte del globo: «Leggo regolarmente La Nation Européenne e ne condivido interamente le idee. Non solo per quanto concerne l’Europa, ma il mondo. Un solo rimprovero: al titolo La Nation Européenne avrei preferito quello di Monde Nouveau. L’Europa da sola, in futuro, non avrà tutte le risorse sufficienti per soddisfare le proprie esigenze». Tornerà presidente nel 1973, morendo tuttavia l’anno dopo.

La Peròn-mania
Non è un caso, quindi, che in tempi di crisi del capitalismo il popolo argentino faccia rivivere una seconda giovinezza a tutto l’immaginario peronista. Recentemente, un settimanale ha escogitato un suggestivo gioco di parole: da «Peron vuelve» (ritorna), lo slogan che, quand’era in esilio in Spagna, ha galvanizzato per anni i suoi seguaci, a «Peron vende». In un bar di Baires è anche possibile gustarsi un caffè accanto a una statua di Peron in grandezza naturale che fa lo stesso seduto a un tavolino. E comprare ogni sorta di gadget, ascoltando la marcia peronista.
Ma sono i libri il fenomeno più tangibile. Quelli che sviscerano le sue vicende e la sua dottrina. E quelli che ne dicono di tutti i colori, in un Paese in cui il peronismo è ritenuto “il concetto maledetto” della borghesia. Il 40% di quelli pubblicati quest’anno dall’editrice Planeta, ha qualche rapporto con Peròn e il peronismo. Non mancano i film. Uno, in cartoni animati, arriva domani nei cinema di tutto il Paese. «Il peronismo è una miniera di epiche, saghe e estetiche», assicura il pittore Daniel Santoro che, dopo mostre d’arte su Peròn, è uno dei responsabili di una serie tv in otto capitoli «in cui c’è tutto quello che volete sapere sul peronismo, ma non osate chiedere». C’è perfino un videogame. In cui gli occhi di Peròn lanciano strali laser per abbattere gli aerei che bombardarono la Casa Rosada nel golpe che lo spodestò nel 1955. Ed il primo vino a lui dedicato. Esportato in Spagna dove si vende a 200 euro. E dove i fan comprano anche t-shirt con la sua effige a venti euro.

Il neoperonismo politico
Nelle primarie presidenziali simultanee dello scorso 14 agosto, tanto per dire, il 70% degli elettori ha scelto tra tre liste peroniste (due di destra). «Peròn, in una miscela di militanza e mistica, si sta trasformando in una figura della dimensione del Che Guevara», dice lo specialista in marketing Ricardo Rutemberg. La creazione del mito di Peròn, del resto, è funzionale all’attuale congiuntura politica argentina. Da otto anni, infatti, a Buenos Aires e dintorni è al potere il “kirchnerismo”. Cioè il peronismo progressista lanciato dal presidente Nestor Kirchner nel 2003. E approfondito dalla moglie Cristina Fernandez, che ne ha preso il posto alla Casa Rosada nel 2007, dopo il decesso del marito un anno fa.

Basterebbe un “Che”
Viva Peròn, quindi. Ma diciamola tutta: per essere meglio delle furie impazzite che hanno devastato Roma non c’era neanche bisogno di tirar fuori Peròn e i suoi descamisados. Bastava anche il “loro” Ernesto Che Guevara. Pur con i suoi lati oscuri, il fanatismo ideologico, i dogmi marxisti, la ferocia rivoluzionaria, lo stesso dottore argentino aveva una lucidità, una consapevolezza e una sostanza umana sideralmente lontana da quella dei ragazzotti esagitati che ne hanno fatto un brand. Seriamente, ma ce lo vedete il leader dei barbudos ad appiccare il fuoco con il sigaro alle palazzine residenziali scambiate per caserme? Ma dai…

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