Così Forlì scopre che il Duce fu il suo vero benefattore

13 Ott 2011 19:33 - di

La targa di marmo sull’ospedale di Forlì sta lì da sempre e informa i cittadini su quali benefattori consentirono di costruirlo con le loro donazioni. Fra le molte degli anni Trenta da 200, 500, mille lire, ne spiccano due di ben altra consistenza: 450mila lire una, 672mila lire un’altra. Sono del 1939 e arrivano dal “Popolo italiano”. O, almeno, così si legge. Perché ora si scopre che quei soldi furono donati da «Sua Eccellenza Benito Mussolini». A dare notizia della novità storica è il consigliere regionale del Pdl Luca Bartolini, che spiega: «Dopo settant’anni, senza nessuna retorica, ma anche senza nessuna vergogna, non da nostalgico ma da ex Dc quale sono, penso sia giusto rimediare al falso storico e ripristinare l’originale dicitura».
Bartolini questa scoperta l’ha fatta quasi per caso, ma ora è deciso ad andare avanti, perché convinto che «è giusto che i forlivesi sappiano chi ha contribuito a quello che è stato l’ospedale della città». È andata così: lunedì c’è stata l’inaugurazione del campus universitario, costruito dove sorgeva il vecchio ospedale; l’ex consigliere comunale di An Giorgio Valpiani ha segnalato la “correzione” a Bartolini e al sindaco Roberto Balzani e ha portato a testimoniarla documenti e giornali dell’epoca. «Sui documenti – racconta Bartolini – c’è scritto che la donazione l’ha fatta Mussolini e, in effetti, a guardare bene la lapide si nota che la scritta “Popolo italiano” è leggermente diversa dalle altre». Bartolini spiega che una donazione di Mussolini per l’ospedale di Forlì non lo stupisce affatto, perché «anche nell’ospedalino del mio paese, Premialcuore, vicino Predappio, c’è una lapide che ricorda non solo una donazione di Mussolini, ma anche quella della sorella Edvige, che aveva sposato una persona del posto e viveva lì».
Secondo Bartolini, dai documenti si evince che Mussolini fece la donazione a titolo personale. Da un’altra testimonianza rintracciata dal consigliere regionale, poi, risulta che la sostituzione del nome del Duce con la dizione “Popolo italiano” deve essere avvenuta intorno alla metà degli anni Cinquanta. Incuriosito dalla faccenda, Bertolini ha iniziato a chiedere un po’ in giro e ha scoperto che il consigliere provinciale di Forlì Vittorio Dall’Amore ha una memoria diretta di quella lapide. «Mi ha detto – riferisce Bartolini – che lui se la ricorda, che il nome c’era ancora dopo la guerra e che deve essere stato stuccato una decina di anni dopo la sua fine». Dall’Amore, classe ’29, nel ’47 è stato tra i fondatori del Msi cittadino. All’epoca della sostituzione era abbastanza grande e abbastanza coinvolto da mantenerne vivo il ricordo ancora oggi. «Stiamo parlando della storia italiana e in particolare del nostro territorio. Non c’è niente e nessuno da celebrare, ma è giunto il momento – chiarisce Bartolini – di imparare a confrontarci con la nostra storia in maniera diversa rispetto al passato. Il sindaco di Predappio, per esempio, seppur di sinistra, sta dimostrando che è possibile affrontare la storia e l’eredità di Mussolini con un approccio moderno, senza confondere i fatti con le ideologie contrapposte».
Un messaggio al sindaco di Forlì, che era presente alla rivelazione di Valpiani e che Bartolini ha chiamato in causa quando ha diffuso la notizia della falsa attribuzione: «Confido che Balzani, che ha già dimostrato di saper ragionare senza paraocchi, da studioso e storico apprezzato, si impegni per ristabilire la verità storica». Balzani, oltre a guidare la Giunta di centrosinistra, è professore di Storia contemporanea all’università di Bologna. La voce più recente, nelle sette pagine di sue pubblicazioni, è Addio alla Città del Duce? Storie di un’altra Forlì nel secondo dopoguerra. È un ex repubblicano. Da storico pone molti paletti. Prima di tutto spiega che «bisognerebbe appurare l’origine di quel lascito, se Mussolini lo fece davvero da privato o da capo del governo. In questo secondo caso – dice – “Popolo italiano” non scandalizzerebbe, perché rimanda al soggetto fondamentale. Se invece fosse una donazione dal suo patrimonio personale credo che comunque andrebbe segnalata anche la scritta successiva, che è a sua volta un oggetto storico, posto che fu fatta nel ’45 e quindi va inserita nel contesto della Resistenza. Non si deve guardare solo alla verità storica, ma al processo storico». All’obiezione che un testimone diretto come Dall’Amore ricorda il nome di Mussolini ancora negli anni Cinquanta, il sindaco replica che andrebbero fatte delle ricerche per accertarsene e che lo stesso bisognerebbe fare per capire se davvero il Duce versò quei soldi personalmente. «Più di un milione di lire – dice – per quell’epoca erano davvero molti molti quattrini». Balzani non si mostra ideologicamente ostile a una ricerca storica in questa direzione e spiega che «nulla è impossibile, ma tutto va collocato nel corretto spazio culturale, di memoria, di storia. Questa vicenda va vista nella sua complessità, pur essendo un semplice nome ha un universo di significato. Come storici contemporanei – aggiunge – noi abbiamo fatto i conti con questo processo di storicizzazione ormai da vent’anni, semmai c’è un problema di divulgazione di massa, di discorso pubblico. Fino a oggi questo processo è mancato. Molti hanno paura, ognuno ha le sue remore, alcuni la vedono come una specie di grande revanche, altri come una forma di difesa. Secondo me gli strumenti culturali per farlo ci sono tutti». Quindi, per il sindaco-storico, «fare questo tipo di ricerca può valere la pena». Lui personalmente, però, non sembra intenzionato a promuoverla: «Nel contesto della mia vita da sindaco – chiarisce – ho il problema dei soldi per le scuole, per i servizi pubblici, i miei cittadini si aspettano altro. Poi, se ci sono persone che volontaristicamente vogliono fare questa ricerca, sono ben contento di registrarla e raccontarla».

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