C’era un Marx che piaceva anche a noi

10 Ott 2011 18:24 - di

Non esiste un termine per esatto descrivere la comicità dei Marx. Hanno semplicemente cambiato il modo di ridere, creando un repertorio che ha fatto epoca e influenzato intere generazioni. Giusto cinquant’anni fa, l’11 ottobre del ’61, moriva il maggiore di loro, Chico: quello che negli sketch faceva la parte dell’italiano chiassoso e per questo divenne il paladino dei disadattati. Il segreto del suo successo, che ai tempi fu trascinante, l’ha riassunto il critico britannico Raymond Durgnat, nel saggio Movie Icons: «Con Chico gli immigrati potevano prendersi una rivalsa liberatrice sulla xenofobia americana che li faceva sentire cittadini di terza classe». Come tutti i fratelli finì con l’essere un’icona. Ma i meriti artistici vanno oltre.
Il primo a mettere piede nel mondo dello spettacolo, anche per ragioni anagrafiche – era nato il 22 marzo del 1887, il suo vero nome era Leonard Marks – e stato lui, che iniziò come pianista a teatro. Harpo (Adolph), più giovane di un anno e Groucho (Julius) più piccolo di tre, lo seguirono poco dopo. La prima formazione dei Marx Brothers conta anche Gummo (Milton, il quarto fratello) che lascia quasi subito e Zeppo (Herbert, l’ultimo), che abbandonerà nel ’35 per fondare una sua agenzia. Come molti colleghi, iniziano nel vaudeville, nei piccoli teatri della sconfinata provincia americana. Imparano il mestiere dell’entertainer, ma soprattutto sperimentano, creano e compongono un nuovo modello di comicità: che fonde l’umorismo yiddish, quello delle storielle con la morale, l’humour anglosassone, la commedia surreale e il nonsense. Nel periodo di apprendistato il gruppo mette a punto anche la sua formazione definitiva.  E una sera, durante una partita a poker con Art Fisher, nascono anche i loro fantomatici nomi. Groucho viene da “grouchy” (brontolone), Gummo si riferisce alle soprascarpe di gomma o “gummy shoes” che usava di solito, Harpo deriva da “harp”, perché Arthur suonava l’arpa, Chico viene da “chicks”, perché in slang americano e inglese chicks sta per ragazze, passione di Leonard. Il successo definitivo arriva solo a partire dal ’24, a Broadway, con due spettacoli che avrebbero fatto la storia del teatro di varietà e spalancato al quartetto – Gummo aveva già lasciato le scene – le porte di Hollywood: The Cocoanuts (’29) e Animal Crackers (’30), entrambe usciti per la Paramount. Sempre per la Paramount girano Monkey BusinessQuattro pazzi in alto mare (’31), Horse FeathersI Fratelli Marx al college (’32) e Duck Soup – La guerra lampo dei Fratelli Marx (’33). In quel periodo nasce anche il sodalizio col produttore Irving Thalberg, che li porta alla Mgm per girare Una notte all’opera (’35) e Un giorno alle corse (’37), ma sopratutto inaugura il loro apogeo artistico: la stagione della consacrazione e della nascita del mito.
Quasi tutti, addetti ai lavori e semplici appassionati, condividono l’opinione che i Marx siano stati un passaggio fondamentale nel ridisegnare i confini del comico: ancora più di Chaplin, di Buster Keaton e di Laurel & Hardy. Woody Allen, che condivide le stesse radici ebreo-newyorkesi del gruppo, inserisce in ogni film almeno una loro citazione, ma non è l’unico. La lista dei debitori “cronici” è lunga e conta anche i  Monty Python, Bob Hope, il nostro Flaiano, Mel Brooks, Tiziano Sclavi con il suo Dylan Dog e tutti gli istrioni televisivi del Saturday Night Live. Se i Marx sono stati per il cinema una rivoluzione gioiosa, condensando la rabbia dell’uomo medio verso la società di massa in esplosività comica, il cinema è stato per i fratelli la porta d’accesso per la Storia. Il mezzo che ha permesso al trio – Zeppo era solo un figurante – di compiere l’evoluzione del genere, in primis nello stile. I Marx, compreso Harpo che apparentemente era un interprete muto, furono i primi ad esprimere al cinema una comicità fondamentalmente verbale: geniale nell’intrecciare i suoni e nel giocare con le parole. Tanto erano acute le ironie di Groucho o esilarante il linguaggio di Chico, tanto era spassosa l’espressione di Harpo, che di solito risolveva la situazione estraendo dalla giacca l’oggetto più improbabile, persino un piccolo cannone. Più che i loro predecessori, lo stile dei Marx fa ripensare alla commedia dell’arte, per i ruoli fissi e l’estemporaneità delle trovate. Groucho, con i suoi baffi dipinti e l’andatura dinoccolata, era il genio; Chico, con l’abbigliamento contadinesco e il cappellino, l’instancabile motore delle situazioni; Harpo, con gli occhi sbarrati, i capelli alla Shirley Temple e la gestualità esagerata era il distruttore del piccolo universo. Nonostante la notorietà di Groucho, accentuata dall’attività letteraria e dall’Oscar alla carriera (‘74), a trasformarli in un classico della cultura globale è stata la società. Per il motivo più semplice: sono ancora esilaranti. Basta guardare un vecchio film per comprenderne la genialità. Godetevi l’espressione di Groucho che in Un giorno alle corse promette a Margaret Dumont: «Se mi sposi, non guarderò mai più un altro cavallo» o che sbeffeggia la passione per il canto di Chico, in uno dei tanti sketch «Canto per ammazzare il tempo / Possiedi un’arma micidiale». Sono solo esempi, schegge di un patrimonio.

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