Un tempo gli scoop si facevano senza “origliare”

30 Set 2011 20:45 - di

Ma quale legge-bavaglio, ma quale libertà di stampa negata? Non scherziamo, il grande giornalismo d’inchiesta i grandi “scoop” li ha realizzati sempre, pensate in po’, senza intercettazioni. Parola di grandi cronisti che hanno fatto la storia del giornalismo d’inchiesta. Come avranno fatto in tutti questi anni? Alcuni “pezzi da novanta” del nostro mestiere assicurano, pensate un po’, che anche senza intercettazioni è possibile dei bravi e liberi giornalisti. Seguiamo qualche esempio di altro profilo, dal curriculum eloquente e al di sopra di ogni sospetto di parte. Andrea Pucci, per esempio, ora vicedirettore del Tg5 e già vicdirettore, al Giornale, al Tempo e all’Adnkronos, spiega che le intercettazioni sono un fenomeno assolutamente recente, iniziato all’incirca quattro anni a con le inchieste di Woodcock sul principe Emanuele di Savoia. «La novità che fece irruzione  in quel momento fu il fatto che Woodcock avesse stilato per la prima volta un’ordinanza di oltre 600 pagine con centinaia e centinaia di intercettazioni. Quell’atto rappresentò un monstrum, nel senso che per la prima volta arrivò una mole incredibile e confusa di conversazioni telefoniche in pasto alle redazioni.  Mai prima d’allora. Se pensiamo che l’ordinanza per Totò Riina era di sole due pagine…Questa la genesi di un crescendo incontrollabile. Da allora ha preso piede un malcostume, la consuetudine  di pubblicare intercettazioni prive di valenza penale. Mi viene in mente – racconta Pucci – la  pubblicazione di un messaggino inviato da Anna Falchi al marito Ricucci, che era una semplice effusione sentimentale. Nulla c’entrava con le contestazioni a Ricucci».
Quindi? «Quindi, la verità è che le maggiori inchieste sul terrorismo si sono fatte senza intercettazioni. Qualche esempio? Lo scandalo Lockheed, che fece dimettere il presidente della Repubblica Leone, il golpe Borghese, lo scandalo Petroli, Piazza Fontana, fior di inchieste su mafia e terrorismo. Pensiamo al caso Gladio, uscito fuori senza l’ausilio di intercettazioni, eppure fece collassare tutte le strutture della Nato…Insomma, i cronisti di giudiziaria non hanno mai lavorato sulle intercettazioni, eppure….» Pucci è un fiume in piena. «Chi definisce il decreto sulle intercettazioni una legge bavaglio dice una sciocchezza. Si sono fatte e si possono fare inchieste utilizzando, come si è sempre fatto, le fonti e il mestiere e non pubblicando acriticamente conversazioni che hanno rilevanza solo per il gossip. Questo non è giornalismo d’inchiesta, anzi, le intercettazioni creano confusione riguardo al vero nodo penale e provocano un depistaggio sul gossip. Non individuano reati penalmente rilevanti ma solo, semmai, un malcostume telefonico».
Ed ora la parola passa a Roberto Martinelli, che è il “re” dei cronisti giudiziari, tra l’altro avvocato, già vicedirettore del Corriere della Sera. Per lui è un’ «assurdità assoluta parlare di bavaglio. «La legge già stabilisce nero su bianco che non si possono pubblicare gli atti di un processo e le allegate intercettazioni.  Se escono, se vengono pubblicati, vuol dire che si è in presenza di un abuso d’ufficio da parte dei pm. Questo tipo di informazioni non sono il frutto della ricerca e della indagine giornalistica, ma il prodotto di investigazioni condotte dalla pubblica accusa, non ancora sottoposte al vaglio di un giudice terzo e che, secondo il codice vigente, una volta notificate all’indagato, sono aperte alla consultazione solo per le parti processuali. E continuano ad essere coperte dal segreto investigativo proprio perché sulla loro attendibilità e fondatezza il giudice consacrato dall’art.111 della Costituzione, quello del “Giusto Processo”,  non si è ancora pronunciato. Accade invece che alcuni magistrati, alcuni avvocati e molti giornalisti ormai interpretano l’istituto della “discovery” una sorta di via libera alla divulgazione degli atti che l’accusa mette a disposizione della difesa».
Roberto Martinelli è molto attivo sul fronte giornalismo e magistratura con convegni e pubblicazioni. «I fatto è che ora questo abuso è diventato una norma. Mentre tutte le grandi inchieste sono state  fatte senza uno straccio d’intercettazione. Ora, a questo abuso si è aggiunto un altro malcostume: la mania delle conferenze stampa tenute da magistrati, carabinieri e polizia che raccontano per filo e per segno l’andamento dell’inchiesta…ma le pare normale? Siamo alle “veline di Stato”».
Ma come facevate, insomma? «Eravamo noi giornalisti ad andare alla ricerca dei testimoni per le inchieste. Anche a rischio personale. Ricordo il caso Fenaroli, dove fu una cronista a beccarsi un sampietrino in testa mentre bloccava la teste chiave, Reana Trentini. Era il giornalista che indagava. Ricordo Francesco Procopio, cronista del Messaggero, che aveva un vestito “d’ordinanza” tutto blu col quale si presentava nei luoghi del delitto, ed era capace di entrare e raccogliere notizie. Altro esempio, quando Pietro Valpreda tornò a Roma, ad accusarlo e a scagionarlo furono i giornalisti di cronaca “nera”».
«Anch’io non ho mai usato intercettazioni nelle inchieste realizzate per le più autorevoli testate italiane», ci racconta un decano del giornalismo italiano come Giampaolo Pansa. «Non credo siano utili ed è una sciocchezza evocare il la libertà di stampa contro il “bavaglio”. Le inchieste si sono sempre fatte col giornalismo vero: consumando tante scarpe per muoverci in lungo e in largo. Parlavamo con un sacco di gente, se avevamo un filo lo seguivamo e se non era quello giusto, ricominciavamo tutto da capo. Qualche fonte ci rifilava dei documenti che potevano essere utili, stava a noi intuirlo…e andavamo avanti così con inchieste che hanno segnato la storia del giornalismo. Pensiamo al caso Watergate, che portò il presidente degli Stati Uniti Nixon alle dimissioni: fu realizzato dai due cronisti senza uso di intercettazioni, certo, erano bravi… La polemiche sulla legge-bavaglio è un’invenzione di Repubblica che non sta in piedi. Se c’è un paese dove la la stampa è libera è proprio l’Italia. Questo sistema delle intercettazioni si sta trasformando in un sistema “barbaro”, altro che libertà….».
«È ormai evidente che l’uso delle intercettazioni non è uno strumento d’indagine ma uno strumento di sputtanamento», sostiene chiaro e tondo Giuseppe Sottile, ora caporedattore delle pagine culturali del Foglio e già cronista di giudiziaria all’Ora  di Palermo e al Giornale di Sicilia. Quando gli si chiede se senza intercettazioni non sia possibile lavorare salta sù: «Mi dice che c’entrava, a proposito della “cricca” Bertolaso & Company, pubblicare l’intercettazione in cui si diceva che il signor Balducci si faceva venire a casa il corista della Sistina per motivi sessuali? Qualcuno mi deve spiegare quale utilità avesse ai fini delle indagini. Anzi, sa che le dico? Che non è giornalismo d’inchiesta quello che scarica in pagine e pagine spezzoni di telefonate intercettate, ricevute in un cd. Non mi pare un granché edificante vedere tutti i giornalisti recitare tutti icoro lo sputtanamento voluto dai Pm….».
Se la ride anche Antonio Polito, ora editorialista del Corriere della Sera già direttore del Riformista. Si è sempre lavorato senza intercettazioni, che dovremmo dire a proposito dell’Espresso di Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, quando scoprì il golpe De Lorenzo….Un tempo erano i giornalisti stessi che mettevano sulle tracce la magistratura, poi partivano le inchieste. All’epoca avveniva l’opposto, la magistratura “dormiva”,  l’establishment lesinava le inchieste e la stampa, senza usare le intercettazioni, faceva un po’ il “cane da guardia”, per così dire». La stampa rischia di essere imbavagliata se si dovesse procedere col decreto anti-intercettazioni? «È assolutamente sbagliato dirlo e chi lo afferma si assume una grave responsabilità», risponde Polito. «Perché coprono col manto nobile della libertà di stampa una prassi che ha talmente debordato da rappresentare un pericolo proprio per la libertà. In tutte le democrazie occidentali i liberal, i progressisti protestano e si oppongono all’eccesso di penetrazione dello Stato nella sfera privata delle persone, anzi viene considerata, questa sì, una deriva autoritaria e pericolosa. Accade negli Stati Uniti, accade in Gran Bretagna». Ricordiamo, infatti che appena nel luglio scorso, dopo l’ennesimo caso di intromissione nella vita privata dei cittadini britannici, il tabloid inglese News of the world di proprietà del tycoon Murdoch ha dovuto sospendere le pubblicazioni. Ed arrivò il  mandato d’arresto per i cinque giornalisti responsabili delle trascrizioni illegali. «Solo in Italia i nostri intellettuali  si battono per il contrario, ossia perché ci sia più potere di pubblicare intercettazioni. Ora lo fanno perché queste colpiscono il premier Berlusconi, ma attenzione, la libertà vale per tutti e quando il cav, non ci sarà più…».

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