La ricetta di Gotti Tedeschi: meglio svalutare l’euro

22 Set 2011 20:21 - di

Lo scorso luglio, in un’intervista a Radio Vaticana, lanciò una provocazione: per affrontare seriamente la crisi, bisognerebbe svalutare l’euro. Ora lo ribadisce, sottolineando che la chiave di quell’affermazione era tutta politica: «Per essere precisi io ho affermato che se l’Europa avesse un governo centrale che si sentisse responsabile, nel senso economico, di tutta l’Europa, oggi potrebbe decidere una svalutazione dell’euro per rendere l’Europa in questo momento più competitiva». Parola di Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere di livello internazionale, già professore di Finanza ed Etica economica e membro, tra l’altro, del Cda della Cassa depositi e prestiti. Attualmente, presidente dal 2009 dello Ior, quell’Istituto per le opere di religione che gestisce il patrimonio finanziario, e non solo, della Santa Sede.

Presidente, questo governo europeo però attualmente non c’è…

Appunto. Basta vedere come è stata affrontata la crisi della Grecia. Tentennamenti e incertezze hanno alimentato la sfiducia dei mercati. È mancata una guida politica forte in quel frangente, figuriamoci se è possibile proporre una politica monetaria adeguata alla situazione.

Secondo lei però una svalutazione dell’euro sarebbe utile.

Certo, e infatti gli Stati Uniti svalutano il dollaro da alcuni mesi a questa parte. Perché crede che i grandi investitori in titoli di Stato, come la Cina, in questo momento stiano vendendo quelli europei e acquistando quelli americani? Perché i titoli degli Stati Uniti valgono di più e costano di meno rispetto ai nostri.

Ma un po’ di inflazione consentirebbe di affrontare meglio la crisi?

L’inflazione può favorire la crescita, anche se lo fa in modo subdolo. Essa favorisce essenzialmente gli investimenti a lungo termine, come l’edilizia, e i consumi. Ma, in ogni modo, non bisogna mai dimenticare qual è il problema fondamentale che stanno vivendo i Paesi occidentali e che occorre risolvere…

I Paesi occidentali in questo momento stanno vivendo vari problemi. Lei, esattamente, a quale si riferisce?

All’aumento esponenziale del debito. Quando parlo di debito non mi riferisco solo a quello degli Stati, ma a un “sistema di debito” nel quale rientra anche quello delle famiglie, delle banche e delle imprese. Ora gli Stati Uniti, che storicamente soffrono di un debito dei soggetti privati molto forte, stanno nazionalizzando questo debito, mentre l’Europa tende, attraverso nuove tasse, a privatizzarlo…

…perché vi è un debito privato più contenuto e la cultura del risparmio è più diffusa. Non è una buona strategia?

No, in quanto penalizzare risparmi e consumi in un momento di stagnazione economica peggiora la situazione.

E allora qual è, secondo lei, la strada che va percorsa?

Bisogna favorire la crescita, investendo nelle infrastrutture e rafforzando le medie imprese. Il declassamento del debito pubblico italiano appena operato da Standard & Poor’s almeno un effetto positivo l’ha sortito: ha fatto comprendere definitivamente che la crescita è un’esigenza prioritaria in questo momento.

Dunque, qual è la sua ricetta? Cosa proporrebbe di fare?

Tengo a precisare che ogni iniziativa ha senso solo se è messa in campo dall’Europa nel suo insieme. Volendo far leva su uno dei punti di forza a nostra disposizione, ovvero il risparmio, io utilizzerei una parte di esso orientandolo verso un prestito obbligazionario, convertibile a dieci anni, da destinare alla valorizzazione e alla capitalizzazione delle medie imprese, che sono il nerbo dell’economia europea, seguendo il modello della Cassa depositi e prestiti italiana. In questo modo le imprese riceverebbero un po’ di ossigeno per gli investimenti e recupererebbero credito di fronte al sistema bancario.

Lei sottolinea la necessità di un’azione comune europea, ma ha anche rilevato tutte le incertezze che ci sono state sul caso Grecia. Insomma, l’Unione Europea è in grado di affrontare questa crisi o no?

L’Europa avrebbe tutte le caratteristiche per affrontarla efficacemente, ma ci vuole una politica europea.

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