Emma la “rivoluzionaria” che piace (a sinistra)

26 Set 2011 20:31 - di

«Mezzi straordinari per rendere possibili risposte straordinarie e tempestive». La battuta è di Giulio Tremonti che, da Washington, rivendica la correttezza dell’impostazione fin qui seguita per «mettere in ordine la casa», ma riconosce anche che adesso è il momento di «puntare sulla crescita». Senza sviluppo, infatti, siamo destinati a soccombere perché, da sole, le manovre approvate rischiano di essere appena sufficienti per fare fronte all’impennata dello spread rispetto al bund tedesco, determinata dalla crisi di fiducia nel nostro debito pubblico. Ha ragione la Marcegaglia, quindi? Solo in parte. La presidente degli industriali fa bene a lanciare l’allarme e a chiedere riforme, ma è totalmente fuori rotta nel momento in cui dà ultimatum, intima sfratti da Palazzo Chigi e si comporta come se, di punto in bianco, fosse caduta da un altro pianeta, si fosse trovata di fronte a una situazione di emergenza e avesse fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per individuare una ricetta.

Una contromossa “sospetta”

Marcegaglia, perciò, si sveglia dal grande sonno. Insediata già da qualche anno alla presidenza della Confindustria, ha avuto tutte le possibilità di interloquire con questo geverno, in carica dal 2008. Anche perché ai tavoli di consultazione c’è sempre stato un rappresentante di Viale dell’Astronomia e il problema greco è ormai vecchio di quasi due anni. Invece per lungo tempo non è successo nulla. Poi, folgorati sulla via di Damasco, gli industriali hanno cominciato a fare le pulci a Berlusconi e oggi tentano di segargli le gambe chiedendo «discontinuità» rispetto al passato. Domani vedremo di capire ufficialmente che cosa prevede l’annunciata rivoluzione made in Confindustria. Il manifesto, accompagnato dalla consueta lettera di sfratto al governo, però, stando agli annunci, non sembra contenere nulla di epocale. Privatizzazioni, liberalizzazioni, pensioni, fisco: tutte cose contenute nel Def presentato dal governo e sulle quali Palazzo Chigi in gran parte concorda. Un risultato però Emma lo ottiene: quella di entrare nelle grazie della sinistra che, pur di ribaltare il Cav, è disposta a stringere la mano e a stringere un’intesa persino con la leader dei “padroni”, in barba alla lotta al capitalismo, alla difesa del proletariato e alla classe operaia che non salirà mai in paradiso.

Il rapporto con i sindacati

Ci sono delle cose, comunque, che alla Marcegaglia non possono non essere fatte rilevare. Se mette nero su bianco un programma di questo genere non può poi strizzare l’occhio a Susanna Camusso, che per buttare giù il governo ha già messo insieme ben cinque scioperi generali. La riforma della previdenza con la Cgil non la si fa davvero. E neppure si liberalizza il mercato del lavoro o si fanno le privatizzazioni.
Dalle sinistre, nelle scorse settimane, è venuta la proposta di far pagare i capitali cosiddetti «scudati». Oltre cento miliardi che sono stati regolarizzati con un’imposta del 5 per cento e che oggi non possono essere più tassati perché c’è un impegno dello stato in questo senso. Ma, verrebbe da chiedersi, che fine hanno fatto? E gli industriali ne sanno qualcosa? Perché era lecito aspettarsi che queste somme, rientrate dall’estero, fossero impegnate in investimenti, invece nulla si è visto e, forse, sono parcheggiate nelle banche. Invece potrebbero essere utilizzate per patrimonializzare le aziende o per un prestito forzoso nei confronti dello stato, sulla base di quanto ipotizzato da Milano Finanza che suggerisce di far confluire il patrimonio pubblico in una spa o in un fondo collocando poi le quote tra i risparmiatori che ne hanno la possibilità. Insomma, dagli industriali ci si aspettano soprattutto analisi di questo genere. Unite, evidentemente, a proposte per tagliare le tasse e liberare risorse. Invece, dalla patrimoniale all’imposta sui Bancomat, Viale dell’Astronomia sembra voler spingere ancora sul pedale delle entrate. Per poi finanziare, evidentemente, le riduzioni dell’Ires e dell’Irap, che dovrebbero essere bilanciate dallo spostamento dell’imposizione dalla tassazione diretta a quella indiretta.

Il maxipiano del G-20
Con buona pace degli industriali e della Marcegaglia la crisi internazionale non aspetta. Ieri le piazze borsistiche hanno ripreso fiato (lo spread Btp-bund è sceso a quota 376), dopo che dal G20 era arrivata la notizia che i Grandi stanno discutendo di mettere assieme un maxi- piano da tremila miliardi per salvare l’euro, ricapitalizzando sedici banche e dando più risorse al fondo salva-stati (Efsf), in modo da consentire un default pilotato della Grecia dopo aver messo in sicurezza istituti di credito come quelli francesi che detengono miliardi di euro di titoli ellenici. A sollecitare questo nuovo schema di intervento sarebbero stati gli Usa, la Cina e il Fmi che avrebbero messo alle strette i Paesi europei accusati di essere troppo litigiosi e di perdere tempo prezioso. Anche i Paesi Brcs spingono perché Eurolandia, con in testa la Germania, rompano gli indugi. «Siamo pronti a investire nelle obbligazioni del fondo di stabilizzazione della zona euro», ha detto il ministro delle Finanze russo, Alexei Kudrin mentre Angela Merkel ha sostenuto che «l’Europa vale ogni sforzo» e la Bce non ha escluso un taglio dei tassi in Eurolandia. Intanto da Standard & Poor’s arriva un altro siluro. La società di rating, dopo la sforbiciata al rating del debito sovrano dell’Italia, ieri ha anche tagliato il “voto” a undici enti locali, tra cui le città di Bologna, Genova e Milano. Ma anche alla Provincia di Roma, alla Regione Emilia Romagna, alla Liguria, alle Marche e all’Umbria.

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