Così l’Europa fu salvata dall’Armata Rossa

12 Set 2011 19:52 - di

Ora che alla Polonia è toccato l’incarico di presiedere il Consiglio d’Europa, dovremmo tutti ricordare il debito che abbiamo nei confronti dei polacchi che si batterono eroicamente per la liberazione dell’Italia nella seconda guerra mondiale, ma non solo. La storia ci dice che ai polacchi dobbiamo la salvezza dalla conquista musulmana e da quella sovietica. Dovremmo tutti ricordare questi grandiosi eventi storici.
Mario Lorenzi – Roma

Per due volte, nella storia moderna e contemporanea, la Polonia salvò l’Europa. La prima volta fu nel 1683, allorché il re di Polonia Jan Sobieski sconfisse i musulmani sotto le mura di Vienna. Era l’11 settembre, non a caso il giorno che Bin Laden sceglierà per l’assalto alle Twin Towers del 2001. Da mesi, ormai, l’armata turca, al comando di Kara Musfatà e composta da 140 mila armati, assediava la capitale dell’impero austro-ungarico. L’imperatore Leopoldo I aveva dovuto fuggire ed aveva nominato comandante in capo re Giovanni III di Polonia, appunto Jan Sobieski, al cui fianco combatteva, quale comandante della cavalleria, il giovane principe Eugenio di Savoia. I soldati schierati in difesa di Vienna (e della nostra civiltà) erano 80mila, quasi la metà rispetto ai musulmani, ma ebbero la meglio proprio grazie all’impeto della cavalleria del principe Eugenio. Non fu che l’inizio di una serie di vittorie che respinsero gli invasori musulmani nelle loro terre.
Il secondo debito che l’intera Europa ha contratto con la Polonia risale al 1920, allorché, tra il 13 e il 25 agosto, i polacchi, al comando del generale Józef Pilsudsky, sconfissero l’Armata Rossa, che Lenin aveva consegnato al generale Mikhail Tuckacevskj con il compito di conquistare la Polonia, instaurarvi una Repubblica sovietica e da qui proseguire l’avanzata militare verso la Germania e l’Ungheria, due Paesi sull’orlo della rivoluzione. Dopodiché sarebbe stata la volta del resto dell’Europa, Italia compresa, dove era in corso una vera e propria guerra civile tra fascisti e comunisti. Decisiva per la vittoria polacca fu la battaglia della Vistola, combattuta alle porte di Varsavia e da allora chiamata, dai polacchi, «cud nad Wisla» («il miracolo della Vistola»), in seguito alla quale Lenin, che aveva aggredito la Polonia nel 1918, subito dopo la fine della Grande Guerra, sognando di diffondere il bolscevismo in tutta Europa, fu costretto a chiedere l’armistizio, presupposto della pace poi firmata a Riga nel 1921. Il 13 agosto 1920 i russi erano ormai in vista di Varsavia. Gli ambasciatori stranieri fuggirono. Restarono nelle loro sedi soltanto il Nunzio apostolico monsignor Ratti (il futuro Papa Pio XI) e l’ambasciatore italiano Tommasini. Mentre i cannoni russi ormai tuonavano nei sobborghi della capitale, accorsero ad arruolarsi volontari giovani contadini, studenti e donne, che si lanciarono con ardimento contro gli invasori mentre tram carichi di morti e di feriti percorrevano la capitale.
E alla fine scattò la controffensiva dell’Armata nazionale polacca. Il generale Sikorski attaccò da nord, con le riserve, il fianco destro dell’Armata Rossa, mentre il maresciallo Pilsudski attaccava da sud, con i volontari, il fianco sinistro. E accadde quello che ancor oggi i polacchi definiscono «il miracolo della Vistola» («Cud nad Wisla»): l’Armata Rossa si dissolse, i russi fuggirono disordinatamente verso i confini. Durante la marcia di inseguimento, Sikorski penetrò in Lituania e occupò Vilnius.
Fondamentale, per il successo della battaglia della Vistola, era stata la lettera pastorale dei Vescovi polacchi alla nazione, lettera che denunciava gli orrori commessi dai bolscevichi in Russia e il pericolo da essi rappresentato per l’intera civiltà cristiana, e si concludeva con la richiesta a Papa Benedetto XV della benedizione speciale per la Polonia. Il Pontefice non aveva esitato, anzi aveva ordinato una recita speciale del Santo Rosario in tutte le chiese del mondo.
In Italia, l’Avanti!, organo dei socialisti, aveva scritto testualmente: «Sta fresco, il Romano Pontefice, se crede nell’efficacia della Vergine!». Il 16 agosto di quel 1920, i russi venivano fatti a pezzi: 10 mila morti, 10 mila feriti, 70 mila prigionieri. Le perdite polacche furono di 4 mila morti e 20 mila feriti.
È tradizione del cattolicesimo polacco attribuire la vittoria della Vistola all’intervento celeste della Madonna Nera di Chestockowa. Non per caso, un’altra Madonna, quella del santuario mariano di Loreto (che era tanto caro a Papa Wojtyla), veglia sulla cappella polacca donata a quel santuario da Jan Sobieski in segno di gratitudine per la vittoria sui turchi nella battaglia di Vienna.
Tra i protagonisti della vittoria polacca, il generale Wladimir Sikorsky, il futuro capo del governo polacco in esilio a Londra, che morirà in un misterioso incidente aereo a Gibilterra nel 1943. VI sono fondati motivi per ritenere che quell’incidente fu voluto dal primo ministro britannico (così sospetta ancora oggi l’autorità giudiziaria polacca, che ha disposto la riesumazione dei resti del generale) perché Sikorski rifiutava di credere che la strage di Katyn fosse stata opera dei tedeschi. Era invece sicuro (come poi diventerà certezza) che il massacro dei 20 mila ufficiali polacchi fosse stato ordinato da Stalin, che dai tempi della battaglia della Vistola odiava i militari polacchi e sognava la vendetta nei loro confronti.

Commenti