Il Pd (dalla spiaggia) litiga sul governo balneare

29 Lug 2011 20:32 - di

Tra un Bloody mary servito con gamba di sedano fresco e un’occhiata distratta al panorama mozzafiato, tra turisti in camicia hawaiana e donne ciabattanti sul bagnasciuga, l’opposizione s’è messa a ragionare sui destini del Paese, dall’oasi dorata di Amalfi. La soluzione finale, del resto, è scontata per il Pd: governo balneare, what else? Viene meglio, se lo si propone dal bagnasciuga, ma non per questo suona meno surreale se nelle stesse ore si consuma l’ennesimo attacco speculativo all’Italia, favorito anche dai colpi di sole dell’opposizione che insiste sull’instabilità del governo.
È la solita sinistra che indossa i panni radical chic per discutere di politica in luoghi e con toni distanti anni luce dall’Italia reale, quella sinistra che si guarda l’ombelico e poi si si scopre, come al solito, litigiosa e confusa: al punto che perfino la formula dell’ammucchiata sotto l’ombrellone – che Franceschini battezza nobilmente come governo di emergenza – viene sonoramente bocciata dall’anima critica della sinistra, Nichi Vendola, nel giro di qualche minuto, accendendo l’ennesimo dibattito interno da dare in pasto ai media. Se a questo si aggiungono i cani sciolti di Fli, a caccia di occasioni miracolose, è facile intuire come il dibattito organizzato ieri ad Amalfi da “Areadem” del Partito democratico si sia trasformato in un balletto di contraddizioni espresse con toni indubbiamente seriosi.

Tante idee, in ordine sparso
Tre ricette diverse per andare oltre Berlusconi ma anche tante divisioni sulla questione morale. Forti, e significative, le distanze emerse tra Pd, Fli e Sel nel confronto con Dario Franceschini, Benedetto Della Vedova e Nichi Vendola. Il superamento del berlusconismo, innanzitutto. I tre esponenti delle opposizioni hanno messo in campo soluzioni diverse e talvolta opposte. Franceschini ha rilanciato l’esigenza di un governo d’emergenza nazionale, che metta assieme tutte le opposizioni da Sel a Fli, per dar vita ad una legislatura costituente nella quale si ripristinino le regole del gioco comuni (a partire dalla legge elettorale) travolte negli anni del berlusconismo. Una proposta che non convince nè Della Vedova nè Vendola. Anzi, il leader di Sel è stato perentorio: «Il mio dissenso è totale». Va piuttosto costruita, e in tempi brevi, una alternativa a Berlusconi e alla destra, un progetto diverso. Per Della Vedova la soluzione è ancora un’altra. Riprendendo i ragionamenti di Gianfranco Fini, l’esponente di Fli punta a fare di questa una legislatura costituente purchè Berlusconi si faccia da parte. E ieri ha rilanciato l’ipotesi di un governo Maroni: «Potrebbe essere l’inizio di una fase di transizione è la risposta alla discontinuità che chiedono le parti sociali». Un’ipotesi, tanto per cambiare, a cui non credono nè Vendola nè Franceschini…

Basta che Silvio vada via
Tra la crisi che aggredisce il Paese, il caso Milanese che coinvolge Tremonti, le fibrillazioni tra Lega e Pdl, le opposizioni hanno però un tratto comune: vedono – o sperano – l’avvicinarsi la fine del berlusconismo. Nessuno sottovaluta l’avversario ma che il tramonto sia ormai in atto, viene visto come una certezza. Tuttavia, Franceschini, Vendola e Della Vedova a confronto su come uscire dal berlusconismo, vanno oguno per la propria strada. Il capogruppo del Pd anche ieri ha sostenuto l’esigenza di ricostruire, tutti insieme, tutte le opposizioni, il Paese dopo le macerie lasciate dal berlusconismo. «Quando c’era la Resistenza non ci si chiedeva chi fosse comunista o cattolico o azionista, chi fosse repubblicano o monarchico, c’era da uscire da una dittatura e al resto si sarebbe pensato dopo. Ora, in condizioni diverse, dobbiamo fare la stessa cosa: dobbiamo ricostruire valori comuni che sono stati spazzati via e questo non lo può fare solo una parte. Se ci presentassimo Pd, Idv e Sel potremmo anche vincere le elezioni ma per ricostruire dalle macerie del berlusconismo non basta una parte, bisogna essere tutti». E per questo a quanti gli hanno fanno notare le differenze che ci sono tra i vari soggetti dell’opposizione, tra la sinistra di Vendola e la destra di Gianfranco Fini Franceschini ha risposto candidamente: «Ma chi se ne frega delle diversità per ora serve questo e poi ognuno torna sulla sua strada ma avendo ricostruito un terreno comune». Tutto vale, dunque, se c’è da buttare già  il cavaliere. Durissima la reazione del governatore della Puglia: «Se la politica si presenta come un pasticcio gattopardesco rischia di brutto. Se alla ripresa non mettiamo in campo un progettopolitico forte, tutta la politica sarà travolta. Quando ci saranno migliaia senza lavoro, quando dovremo tagliare i servizi pubblici, avremo la nostra piazza Tahir. Ci sarà un dolore drammaticamente acuto che potrà esplodere in forme di odio per la politica. La politica non se la cava così chiudendosi nel fortino e invocando la responsabilità nazionale».

Le tante questioni morali
Sulla questione morale, il duello è proseguito ancora più duro: Franceschini pur rivendicando «orgoglio» nella difesa del Pd e dei suoi esponenti, ha fatto un’ammissione: quella di aver consentito l’ingresso di Tedesco al Senato quando era segretario del Pd. «Quando nel 2009 bisognava scegliere il capolista per le europee, dal partito della Puglia venne l’indicazione di De Castro». Franceschini ha rivendicato la validità di quella scelta per le competenze di De Castro che, infatti, «il giorno dopo le elezioni in Europa è stato nominato presidente della commissione agricoltura». Quella scelta però permise l’ingresso del primo dei non eletti al Senato, ovvero Alberto Tedesco. «È stato un errore -ha detto  Franceschini- sottovalutare che questo avrebbe comportato l’ingresso di Tedesco al Senato». Il capogruppo del Pd alla Camera, tuttavia, respinge con forza quello che giudica un tentativo della destra di «mettere tutti sullo stesso piano. Provo un fastidio ormai intollerabile, verso questa operazione». Franceschini ha ricordato (con un’evidente mistificazione) che il Pd, a differenza del Pdl, ha votato sì all’arresto sia di Alfonso Papa che di Tedesco (nonostante perfino nel Pd ci siano state ammissioni sul no espresso). «Non siamo tutti uguali ed è inqualificabile mettere sullo stesso piano un parlamentare del mio gruppo con Milanese, Papa o Cosentino».

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