Il monito del Quirinale sembra un film già visto

21 Lug 2011 20:55 - di

Non è proprio il giorno della marmotta ma ci assomiglia molto. Il senso di già visto come in un buffo incantesimo che ripropone sempre la stessa giornata. Ieri pomeriggio l’effetto giorno della marmotta era dato da titoli e commenti arrivati dopo l’intervento di Giorgio Napolitano sui rapporti tra politica e magistratura. Un senso di ripetitività simile a quello offerto dai servizi dei tg sull’emergenza caldo, la corsa ai saldi e il Ferragosto degli anziani in città.
Tutto già sentito, a cominciare dal monito ai magistrati, che devono avere «misura e riservatezza», che non devono «cedere a fuorvianti esposizioni mediatiche» ma soprattutto «non devono sentirsi investiti di improprie ed esorbitanti missioni» né «indulgere in atteggiamenti protagonistici e personalistici». Il presidente della Repubblica coglie l’occasione del suo incontro al Quirinale con i magistrati in tirocinio per rivolgere, anche in qualità di presidente del Csm, un forte richiamo alle toghe affinché la stella polare della loro azione, del loro comportamento, sia il rispetto della legge e dei diritti dei cittadini. Parole in alcuni casi dure, che sono indirizzate, a differenza di altre volte, quasi esclusivamente ai magistrati. Per Napolitano il riconoscimento del ruolo del magistrato «non può prescindere dal rispetto dei limiti che il ruolo impone», aggiunge, invitando a condotte che «comunque creino indebita confusione di ruoli e fomentino l’ormai intollerabile, sterile scontro tra politica e magistratura». Questo accade ad esempio, quando il magistrato «si propone per incarichi politici nella sede in cui svolge la sua attività oppure quando esercita il diritto di critica pubblica senza tenere in pieno conto che la sua posizione accentua i doveri di correttezza espositiva, compostezza, riserbo». No, dunque, alla «spettacolarizzazione» ma «silenzioso impegno quotidiano». Non sfugge all’attenzione del Colle il tema intercettazioni, che per Napolitano, devono essere effettuate «solo nei casi di assoluta indispensabilità» e comunque senza divulgare il contenuto quando esso è privo di rilievo processuale.
A riconoscere che il richiamo è una sorta di film già visto, è indirettamente lo stesso Capo dello Stato, ricordando che dal 2007 a oggi ha avuto modo di stigmatizzare «lo scontro tra politica e toghe». In effetti, basta riprendere i giornali. Dicembre 2007, in occasione dell’inchiesta napoletana su Berlusconi: da New York Napolitano ricorda che da una parte «occorre ben pesare le parole che si dicono sulla magistratura» dall’altra «i giudici devono avere il senso del limite, devono soprattutto rispettare quelle regole che servono innanzitutto a garantire l’autonomia e l’autorevolezza del magistrato». Un appello reiterato appena tre mesi dopo, al plenum del Csm. L’occasione viene data dal vertice chiesto dopo l’indagine sull’allora Guardasigilli Clemente Mastella e l’arresto della moglie Sandra. «Basta col clima di sospetti tra politica e magistratura», ammonisce il capo dello Stato, con un concetto ripetuto anche ieri. I giudici non devono «sentirsi investiti di missioni improprie» e «non devono dimostrare alcun assunto, non certamente quello di avere il coraggio di toccare i potenti». E ancora, stesse frasi nel luglio 2008, in occasione del quinto anniversario dalla morte dell’avvocato Vittorio Chiusano. Analogo ammonimento nel giugno del 2009, sempre a Palazzo dei Marescialli. E ancora, in una dichiarazione al Quirinale, il 27 novembre del novembre dello stesso anno: «Spetta al Parlamento esaminare misure di riforme volte a definire corretti equilibri tra giustizia e politica. Nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia delle Camere».
Appelli e moniti che fino a oggi sono rimasti inascoltati dall’opposizione. Le frasi del Colle vengono sventolate come una bandierina quando vengono lette in funzione antigovernativa o antiberlusconiana. Restano invece lettera morta se il monito del giorno di Napolitano non mina in qualche modo la credibilità dell’esecutivo.
Un capitolo a parte meriterebbe il teatrino dei commenti agli appelli del Colle. Tutto un coro di elogi bipartisan. Ma quando l’appello è indigesto, il metodo del Pd è collaudato: si estrapola una sola frase dalle sette cartelle diffuse dal Quirinale e si adatta al proprio uso. Così Pierluigi Bersani è riuscito a trovare che «Napolitano ha detto una cosa giustissima: parliamo di giustizia per i cittadini, perché sino ad oggi abbiamo parlato dei problemi di una persona sola». Quel che non hanno potuto dire nel Pd lo ha detto Antonio Di Pietro, che ha replicato con frasi al napalm: «Parlare, come ha fatto il Capo dello Stato, di scontro tra politica e magistratura, come se ci trovassimo di fronte ad una guerra tra bande» rappresenta «una banale generalizzazione rischia di far credere che chi commette reati e chi li combatte siano sullo stesso piano: banditi entrambi!».
Una replica, quella del leader Idv, che sembra il copia incolla del comunicato del luglio di tre anni fa quando definì le critiche di Napolitano, «parole a senso unico contro la magistratura». Stesse frasi dal Quirinale, stesse critiche dall’opposizione, a coronamento di un giorno della marmotta perfetto.

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