Cosa voglia la Padania nessun lo sa

4 Lug 2011 20:32 - di

Un partito serio, per carità, radicato sul territorio, con quadri qualificati, una base fidelizzata. «Avercelo noi!», abbiamo detto per anni. Qualche volta però si ha il sospetto che girino a vuoto, che siano così schiavi della boutade che proprio non riescano a non buttare per aria il tavolo proprio quando il cameriere sta versando la zuppa.
La Lega di oggi non è certo quella delle origini. E come potrebbe. Si tratta di una forza che è stata al governo più che all’opposizione, non solo a Roma, occupando dicasteri strategici, ma anche nelle regioni, nelle province e nei comuni.
I nemici dicono che sono inaffidabili, che a ogni giro di luna vogliono far cadere giunte e governi. Umorali, sopra le righe, rissosi o almeno roboanti e minacciosi. Forse solo simpatici Capitan Fracassa. Gli amici li giustificano, dicono sul territorio alzano la voce, ma a Roma sono alleati leali.
Gli esperti di comunicazione sono concordi su una cosa: a furia di alzare i toni e promettere scempi rischiano di deludere il proprio elettorato. Se allevi molossi devi dargli carne cruda di continuo, sennò ti staccheranno un braccio. La Lega ha un elettorato che ha abituato a toni elevati e promesse di spaccare tutto. Il problema oggi si chiama Lampedusa. Dinanzi all’emergenza dei profughi il ministro leghista Maroni si è comportato in modo ineccepibile, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali, dei trattati e delle regole umane non scritte. Una delusione per alcuni, ai quali per anni avevano promesso una Lega trinariciuta e senza cuore.
C’è poi il fatto di aver abituato i propri elettori che il Nord – a prescindere – debba avere un trattamento diverso dal resto del territorio nazionale. La realtà oggettiva – evidente ai rappresentanti leghisti, che sono intelligenti quanto scaltri – è che, ammesso che il Nord sia la locomotiva del Paese, bisogna far andare tutto il treno altrimenti anche la locomotiva finisce a valle. La risposta retorica e propagandistica è quella di sganciare i vagoni e correre via veloci come un verde puledro nel vento al grido di “secessione, secessione”.
Un sacco di adolescenti si agitano sotto palco cantando canzoni di una cattiveria incredibile e indossano magliette con teschi fiammeggianti. Ma poi si cresce.

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