Questa è solo analisi politica

15 Giu 2011 21:06 - di

Fino a ieri una delle trovate giornalistiche ritenute più geniali – e quindi in realtà così banali da essere quasi idiote – era quella di chiedere con aria furbetta a qualsiasi esponente del centrodestra che ragionasse sul futuro del Pdl se stesse «archiviando Berlusconi». Tutti si ritraevano a quel punto in difensiva, come se il solo ipotizzare che il mondo continuasse ad esistere in un “dopo-B” fosse osceno o blasfemo.
Per questo è necessario chiarire – per togliere l’opportunità ai giornali luogocomunisti facili strumentalizzazioni – che il sottoscritto non sta chiedendo a Berlusconi di mollare la politica. Semplicemente per la convinzione che quando sarà il momento di dedicarsi ad altro lo deciderà solo l’attuale premier. Chi ha tentato di togliergli la sedia da sotto, con la tentata spallata del 14 dicembre scorso, ha fatto male i suoi calcoli. Forse ha sbagliato i modi, forse ha sbagliato i tempi. Forse ha sbagliato alleanze.
Quando un uomo arriva all’apice del successo, in qualsiasi attività, non può andare più in alto. Non è un caso che l’immaginazione dei popoli abbia creato “l’ascensione al cielo”, per coloro che, giunti al massimo in vita, non potevano che andare oltre, senza ridiscendere in basso.
Bossi non mollerà Berlusconi. Ed è veramente patetico che, da mesi, l’unica cosa che riesca a fare il leader del centrosinistra – il ripetitivo Bersani – sia sollecitare la Lega a tradire il presidente del Consiglio e implorare quest’ultimo a dimettersi. Come se in politica bastasse chiedere al proprio avversario – quando non lo si riesce a vincere coi voti – di andarsene di sua sponte per lasciarti il posto.
Siamo comunque e – forse ingloriosamente – alla fine di un’epoca. O forse solo di una fase politica. La politica delle personalità è una banalizzazione, nata con la crisi di credibilità dei partiti seguita a Tangentopoli. Nei primi anni Novanta, nuove aggregazioni sono nate intorno a capi carismtici e indiscussi e hanno avuto successo. Il partito di Casini, quello di Berlusconi, quello di Fini, quello di Bossi e, in seguito, quello di Di Pietro. Sopravviverebbe l’Udc se lasciasse Casini? Che ne sarebbe dell’Idv se perdesse Di Pietro? La Lega ha dovuto imparare ad immaginarsi una sopravvivenza oltre Bossi, quando il capo venne colpito da un grave malore e venne messa in dubbio la sua capacità di tornare alla guida. Da quel momento in poi, la Lega diventò veramente un partito, emersero nuove personalità che ormai sono politici consolidati, autorevoli e autosufficienti. Il leghismo è diventato un’ideologia, che potrebbe anche sopravvivere al suo fondatore.
Il 2 dicembre 2006 si è verificato un fatto politico importante, incontrollato e solo in seguito riconosciuto dai politologi. Una grande manifestazione di opposizione contro il governo Prodi sfuggì di mano agli organizzatori, impreparati al grande afflusso di partecipanti. Quel giorno nacque un nuovo blocco sociale: il popolo del centrodestra. Manifestanti sparpagliati e disorganizzati passeggiavano a fine manifestazione impugnando due o tre bandiere, di Forza Italia e di An, della Fiamma tricolore e dell’Udc.
Da allora la maggioranza non più silenziosa ha cercato un inquadramento, un senso di appartenenza, una storia comune. Ha trovato solo un leader. Quel popolo c’è ancora e l’anti-Italia stenta a prevalere. Si può andare oltre, rigenerandosi. Forse, addirittura, si deve.

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