«Devono pagare i gip, non lo Stato»

16 Giu 2011 20:24 - di

Vi dice niente Enzo Tortora? E Daniele Barillà? E Domenico Morrone? A lungo in galera da innocenti. Si chiama detenzione ingiusta, un termine garbato per dire che un cittadino se ne può stare in cella per anni e anni per un errore, una “svista”. La giustizia italiana è anche questo. Ma qualcuno non vuole schiacciare il bottone del reset, magari anche per non fare piacere al Cavaliere. «La riforma non può aspettare. Credo che il capo dello Stato, anche come presidente del Csm, debba fare valutazioni non differibili sulla credibilità della magistratura», dice Antonino Caruso, senatore e avvocato di lungo corso.

Lo Stato è arrivato a pagare mille miliardi di vecchie lire per ingiusta detenzione e 45 milioni per generici errori giudiziari…

Quando si arriva a certi numeri non si può parlare di errore casuale: siamo di fronte a un processo sommario anticipato, che non è compatibile con nessuna ragione di diritto, i giudici sono uomini e possono sbagliare, ma non in questa misura. Quando leggiamo cifre del genere allora non siamo di fronte a uno sbaglio ma a un impiego disinvolto degli strumenti a disposizione. Un uso che, tra l’altro, porta al depotenziamento degli strumenti stessi.

Poi arriva il risarcimento dello Stato. Sarà retorico ma uno si chiede: quale risarcimeno dovrebbe concedere al cittadino vittima di un errore giudiziario e sottoposto al 41 bis, il carcere duro?

Diciamo che la legge Pinto è sicuramente una legge di civiltà.

Che cosa stabilisce?

Assicura l’indennizzo per tempi troppi lunghi di esecuzione, per ingiusta detenzione e altro. In sostanza un magistrato stabilisce che un altro  magistrato ha danneggiato un cittadino.

Ma i magistrati non pagano mai?

È sempre lo Stato a risarcire, quindi i cittadini, insomma “paga sempre Pantalone”. La strada evidentemente deve essere un’altra, occorre rendere il giudice responsabile “in proprio”, come accade per tutti i professionisti. È una via obbligata.

Ma così si tocca la lobby degli “intoccabili”, secondo qualcuno…

È l’unica strada da praticare. Certo, va fatto con grande prudenza perché la differenza tra magistrato e un architetto o un ingegnere è sotto gli occhi di tutti. Si parla tanto del pm che è nell’occhio del ciclone, si invoca la separazione delle carriere ma chi arresta è il gip, il giudice delle indagini preliminari, quindi è lui che deve pagare per gli errori commessi nel valutare e decidere.

Quando si tocca l’operato di una toga, però, la sinistra (e non solo) tira fuori la carta dei giudici antimafia che hanno servito lo Stato fino a morire?

Borsellino e Falcone sono un esempio sbagliato, sono diventate due icone di legalità proprio perché non hanno mai sbagliato. E se lo hanno fatto, come chiunque di noi, è accaduto non per sospetto accanimento o interessi al di fuori dei processi.

Qual è il suo parere per ridurre gli “errori”?

Sul piano processuale occorrerebbe procedere secondo il sistema americano, rendere chiare le norme di procedure: l’eventuale violazione deve avere effetti travolgenti nel processo. Qualcuno la sfangherà lo stesso, ma il magistrato che prende quella scorciatoia si misurerà con un insuccesso professionale e di carriera.

Allora la macchina giudiziaria va riformata non perché serve a Berlusconi, ossessionato dal complotto?

Forse se qualcuno cominciasse a pensare che gli attacchi al Cavaliere sono il prodotto di quanti traggono vantaggio dal non avere una riforma… Per farla serve il coraggio e non i soldi, e non sempre il coraggio si trova.

In queste ore di polemiche al vetriolo, la strada sembra più in salita che mai…

Nel periodo 2002-2006 importani novità sono stata introdotte nella riforma voluta dalla Casa delle libertà, alcune delle quali per fortuna non sono stata toccate dalla controriforma Mastella. Penso alla riforma del disciplinare, alla maggiore responsabilizzazione del Csm.

Superati i veti incrociati e le beghe di palazzo, che cosa manca ancora?

Occorrono volontà politica e determinazione istituzionale. Se i giudici sono percepiti come inaffidabili – e  in questo i media non hanno poca responsabilità – occorre agire. Con Castelli ministro il centrodestra ha dato segnali forti, se non avessimo perso le elezioni nel 2006 oggi potremmo parlare di riforma totale del sistema.

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