«Berlusconi? Lavori a un Ppe non tirannico, noi ci saremo»

28 Giu 2011 20:50 - di

Dalla difesa del Cavaliere dalla carne debole, che «ha ceduto al bunga bunga solo per lenire il dolore della separazione da Veronica», fino alla richiesta «all’amico Silvio, al quale sollecito subito un passo indietro, per dare spazio a un governo di unità nazionale». Ma Rocco Buttiglione ha anche una visione celeste: «Vedo nel futuro prossimo un grande partito dei moderati, alternativo alla sinistra, un Ppe italiano con una leadership partecipata, non tirannica, non carismatica, un grande polo da contrapporre a quello degli ex Pci, magari da affidare a Casini, perché no?». Il presidente dell’Udc ieri ha fatto molto discutere per un’intervista rilasciata al settimanale “A” nella quale, da cattolico fervente, ha dato l’assoluzione al Cavaliere per gli scivoloni sessuali, s’è dichiarato più abile del premier nel corteggiamento e ha bacchettato ancora una volta gli omosessuale, provocando la scontata reazione della comunità gay. Ma ieri c’era anche la direzione nazionale del partito da presiedere e Buttiglione in quella sede è tornato sul suo terreno preferito, quello della costruzione politica. Arrivando a una conclusione non banale, se formulata da un esponente di spicco di quel Terzo polo che dell’equidistanza fa la sua bandiera: «Alle prossime elezioni politiche io vedo un ritorno del bipolarismo, due poli, dopo un grande rimescolamento che ridia unità a moderati e cattolici».

Professore, difende Berlusconi sul bunga bunga e poi lo vuole politicamente morto?

Sono due cose diverse. Dal lato umano, capisco le sue debolezze, siamo tutti peccatori, ha fatto cose squallide ma forse aveva motivazioni sentimentali, dolore, sofferenza, che lo hanno indotto a fare ciò che ha fatto. Sul fronte politico, invece, niente alibi: deve fare un passo indietro, la situazione del Paese è drammatica, il suo governo è debole, non può reggere l’urto di una politica del rigore così necessaria. Tra l’altro vedo tentazioni di spesa facile, che i mercati internazionali non ci perdonerebbero.

Tremonti non sembra disponibile ad allargare i cordoni della borsa. Non vi fidate nemmeno di lui?

In questo momento è l’unico che difende i conti pubblici, che ha la mano ferma sui conti pubblici, ma ha bisogno di tutte le forze politiche per non portare il Paese alla rovina. Il mio incubo è che tra un po’ l’Italia abbia difficoltà a vendere i Bot o che si trovi a pagare interessi insostenibile sul debito.

Bersani ha già bocciato la vostra idea del governo di solidarietà.

Sbaglia. Lui crede che basti mandare via Berlusconi e dire, “arriviamo noi” per fronteggiare la crisi internazionale. Serve altro, un consenso bipartisan su riforme strutturali e politiche del rigore che non frenino lo sviluppo.

Intanto, però, il Terzo polo annuncia che potrebbe sostenere la manovra di Tremonti. Un segnale importante, no?

Valuteremo nel merito, diremo sì se non aumenterà il debito, se si muoverà all’interno dei parametri europei, se conterrà misure di sostegno alla crescita, se combatterà i privilegi, se andrà in favore delle famiglie, delle infrastrutture, della ricerca, della formazione.

Professore, e i soldi?

Quelli si possono trovare colpendo le categorie privilegiate, le lobby, gli evasori.

Manovra a parte, di riforme strutturali parlerete col governo anche se Berlusconi resta a Palazzo Chigi?

Non abbiamo pregiudiziali sul dialogo, ma riteniamo che questo governo non abbia la forza per fare riforme vere: se dobbiamo parlare tanto per parlare, figuriamoci, io sono un accademico, facciamo convegni, dibattiti. Ma il governo è in grado di decidere? Secondo noi, no.

Come giudica la strategia di Di Pietro, che vuol dialogare a prescindere e si propone in una versione nuova, da moderato?

Parli. Se ha delle idee, si confronti con Berlusconi, ma non credo che ne verrà fuori molto. È chiaro che il leader dell’Idv ha capito che il futuro del Paese si gioca sulla riorganizzazione dei moderati e in qualche modo vuole avere un ruolo, per questo parla della tessera Dc, della Coldiretti. Ma in realtà la sua idea è che quest’area vada riorganizzata come adesso, su una base plebiscitaria e leaderistica, sostituendo semplicemente Berlusconi.

Da qui a due anni, se Berlusconi lascerà la leadership, come ha lasciato intendere, quali scenari si apriranno per l’Udc?

Difficile dirlo, ma potrebbe formarsi un grande partito sul modello Ppe che restituisca l’unità perduta a tutti i moderati, un po’ come accadde in Francia con l’addio di Chirac, che lasciò spazio a un nuovo modo di interpretare l’area dei moderati da parte di Sarkozy. Sarebbe una bella sfida.

Il futuro dell’Udc è dunque nel centrodestra?

Più passa il tempo e più mi convinco che alle prossime elezioni in campo rimarranno due poli. E uno sarà quello dei moderati.

E l’altro?

Sicuramente molti moderati che ora stanno a sinistra, come i cattolici del Pd, per esempio, subiranno il fascino del polo nascente, modello Ppe, mentre quelli che vengono dal Pci finiranno nell’altro polo, anche alleandosi con componenti più massimaliste, magari facendo un bilancio di quello che politicamente è ancora vivo oppure è morto. A sinistra immagino un partito in stile laburista, con anime simili a quelle che nel Pci erano le correnti trozkiste. L’importante è che la guida di quel polo non sia massimalista.

Lei sembra immaginare un futuro alternativo alla sinistra per l’Udc. Ma nel nuovo centrodestra post-berlusconiano, vedrebbe bene le primarie?

No, credo che siano uno strumento che favorisce il leaderismo, noi siamo per un partito che abbia ferrei meccanismi di democrazia interna, che si apra alla base, che garantisca partecipazione, che sappia dialogare col Paese.

Sì, ma le piace immaginare Casini leader del polo moderato?

Lui si giocherà in quell’area la sua partita politica, da qui a due anni, se Berlusconi non cederà di nuovo alle sue tentazioni monarchiche, alla legge del tutto il potere a me. In quel caso è chiaro che non avremmo altra alternativa che fare alleanze con chiunque voglia porre fine al berlusconismo.

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