Terzo polo: una Dc ma… piccina picciò

17 Mag 2011 19:50 - di

Dalla terza via al terzo polo, dalla storica Democrazia cristiana all’Udc, dalle alleanze a largo raggio – capaci di garantire la governabilità per decenni – alle alleanze con gli “zero virgola”, con i partiti in via di (lenta) formazione o già maturi ma senza mezzi per sfondare elettoralmente. Per Pier Ferdinando Casini il momento è tanto difficile quanto delicato perché la situazione gli è completamente sfuggita di mano. Tra vecchi metodi e logiche superate, rischia di diventare un’anomalia politica. Ha tentato, con pochi risultati, di ripercorrere la strada degli antichi maestri riproponendo lo schema insidioso degli opposti estremismi e adeguandolo ai tempi: stavolta non ci sono gli scontri fisici e di piazza, ma solo scontri verbali, i “diavoli” sono gli esponenti del centrodestra e del centrosinistra che in ogni occasione se ne dicono di tutti i colori mentre loro, i centristi, si tirano fuori dall’arena perché riflettono, ragionano, sono i veri moderati. In una frase, sono “un’altra cosa”. Già, un’altra cosa, anche se pochi hanno capito quale. Dati elettorali alla mano, il tentativo è completamente fallito perché il terzo polo alle comunali e alle provinciali di domenica e lunedì ha raccolto briciole, percentuali da allarme rosso. E dovranno scegliere pure chi appoggiare al ballottaggio, con un contrasto notevole tra le varie anime che “arricchiscono” la coalizione.
L’errore di fondo è nel tentativo di diventare una fotocopia della Dc. Perché la Democrazia cristiana aveva un consenso che superava il trenta per cento, un bottino di voti enorme e quindi si poteva permettere scivoloni strategici e persino scelte negative. Per l’Udc il discorso è ben diverso, i passi falsi li paga subito in termini elettorali perché la strategia dei due forni, l’appoggiare ora uno schieramento ora l’altro, il tentennare tra due diverse concezioni politiche porta una grave perdita di credibilità. La Dc gestiva e sceglieva, l’Udc non gestisce e non sceglie.
Cesare Cursi, eletto fin dal 1987 nelle liste della Democrazia cristiana e successivamente portato in Parlamento prima da Alleanza nazionale e poi dal Pdl, non ha dubbi: «La politica di Pier Ferdinando Casini – dice – non ha senso. La vecchia Dc puntava sullo strumento degli opposti estremismi perché aveva il 35 per cento dei voti e alla sua sinistra c’era un altro partito di massa, il Pci, che raccoglieva tra il 28 e il 30 per cento dei consensi. L’argomento degli opposti estremismi serviva a tagliare le ali. C’era comunque un’area vasta che rappresentava la maggioranza degli elettori e del Paese al cui interno si collocava la maggioranza di governo e l’opposizione. Oggi tutto questo non c’è più e immaginare lo scenario delle ali estreme non ha senso: significa non essere più in linea con i tempi».
Antonio Mazzocchi, anche lui democristiano di vecchia data e oggi deputato del Pdl, si dice «meravigliato» per l’atteggiamento assunto dal leader dell’Udc. «Altro che opposti estremismi – afferma – è lui la causa di tutto. Ancora non ci ha detto se intende sostenere o meno il centrosinistra nei ballottaggi. Eppure Casini sa benissimo che il suo elettorato è di centrodestra. Quando si schiera con l’altro schieramento politico perde consensi. Dovrebbe capirlo e agire di conseguenza. Invece percorre strade che minacciano di non portarlo da nessuna parte. Si pensi che a livello europeo sta assieme al Pdl nel Ppe e con Berlusconi ha sottoscritto la carta dei valori di questo raggruppamento, mentre in Italia fa discorsi diversi. È lui che vuole uscire dalla casa comune. Ed è sempre lui che in questo modo tende a favorire l’assunzione di posizioni estreme».
Casini e i suoi, in sostanza, quando pretendono di continuare a vivere e a prosperare sfruttando i vizi della vecchia Dc, non capiscono che tentare di trasferirli in un partito del cinque o del sei per cento o poco più, origina una vera e propria caricatura politica. È la tirannide dei numeri? Certo, è anche questo, ma non solo. In ogni caso non potrebbe essere diversamente: Amintore Fanfani, Flaminio Piccoli e tutti gli altri muovevano l’accusa di essere «estremisti» a una fetta del Paese che, tirando le somme, finiva per essere minoranza, collocata alla destra e alla sinistra degli chieramenti maggioritari. Un’operazione negativa, che ebbe conseguenze drammatiche, ma che andava avanti per la forze elettorale di cui godeva lo scudocrociato. Oggi, invece, l’Udc vorrebbe avere il ruolo di regista sparando sentenze da una posizione di difficoltà: i suoi numeri sono piccoli mentre quelli di chi viene etichettato come «estremista» sono notevoli. L’assunto da cui parte Casini è manifestamente sbagliato: gli estremisti sarebbero la maggioranza del Paese. Cosa che, evidentemente, esula dalla normalità. Una normalità che, stando ai fatti, vede l’Udc alleata ora con il centrodestra, ora con il centrosinistra che in questi casi, quindi, cessano di essere improponibili e diventano idonei a governare. Purché assieme a Casini e ai suoi… Una spocchia che poteva essere tollerata in bocca alla Dc, capace di intercettare i sentimenti e le aspirazioni degli italiani, ma che è difficile digerire se viene dall’Udc e dai partiti alleati del Terzo polo. Lezioni simili da loro sono davvero irricevibili: lo dicono i voti che lo schieramento di Casini, Fini e Rutelli ha intercettato nelle amministrative di domenica e lunedì scorsi.

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